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Cronache di frontiera: scatti da Belgrado

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L’8 marzo 2016 l’Unione Europea firma un trattato con la Turchia che stabilisce in sostanza lo stanziamento di 6 miliardi di euro alla Turchia di Erdogan per chiudere le frontiere, la cosiddetta rotta balcanica, il tragitto che i migranti percorrono passando per la Grecia e risalendo per i Balcani. Questo ha creato il più grande campo profughi d’Europa con 8.500 immigrati ferme sul confine macedone, ad Idomeni. Sgomberato quel campo nel maggio 2016, nonostante i respingimenti, famiglie e singoli hanno continuato a mobilitarsi e molti di loro hanno raggiunto la Serbia, dove attualmente ci sono cinquemila persone divise tra i campi governativi e un campo “informale”.

Ho avuto modo di conoscere questo cosiddetto campo informale, grazie ad un breve viaggio assieme all’associazione One Bridge to Idomeni. Nel campo ci sono circa 1.200 i profughi che alloggiano da agosto 2016 in vecchi edifici abbandonati della vecchia stazione di Belgrado, diventati ora il punto di ondata infinita che sta percorrendo la rotta balcanica. La maggior parte degli immigrati arriva dall’Afghanistan ma ci sono anche pakistani e iracheni il cui viaggio a tappe ha toccato Iran, Turchia, Grecia, Bulgaria e Macedonia prima della fermata definitiva in Serbia.

Mi sorprende la loro giovanissima età: tra gli 8 e i 30 anni. In questo campo sono tutti uomini, le poche donne che seguono compagni e partiti nel viaggio alla ricerca di un futuro rimangono nei campi governativi, dove ci sono maggiori servizi. L’igiene è assente, c’è pochissima acqua (quattro rubinetti per tutti), l’elettricità è distribuita da un generatore gestito dalle associazioni e il singolo pasto quotidiano viene distribuito dagli instancabili volontari di Hot Food Idomeni.

Le uniche Organizzazioni non governativa (ONG) che hanno l’accesso al campo sono l’UNHCR e la Croce Rossa Serba: altre persone di buona volontà non sarebbero ammesse. Per scongiurare la creazione di centri informali per transitanti, il governo serbo ha detto chiaramente che le persone fuori dai centri governativi non devono essere assistite e in pochi accettano di essere trasferiti nei centri governativi per paura di essere identificati e non poter continuare il viaggio verso gli altri paesi dell’Unione europea.

Gli hangar fatiscenti occupati dai migranti saranno abbattuti nel giro di poche settimane per fare spazio ad un grande complesso abitativo di lusso – il Belgrade Waterfront – un’operazione da 35 miliardi di euro della ditta Eagle Hills, società con sede ad Abu Dhabi e portatrice dei tanto ambiti petrodollari.

La Croazia e l’Ungheria sono chiuse dal filo spinato, unico materiale di cui sono fatti i rispettivi confini. Il filo spinato fa compagnia alle pattuglie di polizia di confine, alle unità cinofile e ai gruppi di civili che si sono mobilitati ed armati per fermare gli immigrati.

Negli ultimi 15 mesi, l’ONG Medici Senza Frontiere ha curato 106 casi di violenza intenzionale perpetrata dagli agenti di pattuglia ungheresi al confine. Tutti i casi trattati da MSF seguono gli stessi percorsi di violenze, includendo ferite da pestaggio (54 casi), morsi di cane (24 casi), irritazioni da gas lacrimogeno e spray al peperoncino (15 casi) e altre ferite (35 casi). Questi abusi non escludono persone vulnerabili come minori non accompagnati: su 106 casi, 22 erano minorenni.

Il futuro è un grande buco nero. Le prospettive non sono chiare, se le ruspe si avvicinano e le vie sono chiuse, si potrebbe creare una sorta di sacca, ovvero persone senza casa e senza porte aperte che vagano in attesa di una speranza di passaggio, fosse anche quello che dall’Albania negli anni ’90 portava in Italia, attraverso lo stretto di Brindisi.

Durante i pochi giorni trascorsi al campo, ho conversato con molti di loro e ho scattato qualche foto. Ho voluto sì denunciare lo stato di degrado in cui si trovano queste persone ma, in particolare, ho cercato di raccontare le molteplici forme in cui si esprime quotidianamente l’attesa: il campo, nonostante tutto, è vissuto come un luogo di passaggio, di transizione verso un futuro migliore.

@Greta Gandini

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