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Che cosa si critica quando si critica l’Expo?

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L’Expo 2015 sta riscuotendo un grande successo di pubblico, e suscitando un grande vespaio di critiche. Mi sembra che molte di queste critiche, o almeno una parte, siano mosse in modo superficiale e poco costruttivo e derivino da una certa confusione attorno a che cos’è Expo.

Se si vuole adottare un’attitudine critica, è opportuno chiarire che cosa si critica: l’istituzione Expo in generale o l’Expo di Milano in particolare? Che metro di paragone applica chi critica Expo 2015? Altre Expo del passato che magari non conosce?

Non voglio perdermi nei rivoli delle singole polemiche, magari anche legittime, ma fare chiarezza su alcuni punti che possono diradare la nebbia attorno a cosa sia un’Expo e che cosa non sia, e dunque cosa ci si può aspettare e da chi. Forse, una volta conosciute queste basi, si potranno fondare meglio anche le critiche, dando loro più efficacia.

5 cose che bisogna sapere di Expo

1. Ci sono diversi tipi di Expo. Le Expo si dividono in due tipi: quelle universali e quelle internazionali. Le prime si svolgono ogni cinque anni, sono più vaste sia come partecipazione dei paesi coinvolti sia come tema e durano più a lungo (circa sei mesi); le seconde sono di portata più ridotta, seguono un tema più specifico, si svolgono di solito con maggiore frequenza (nell’intervallo tra due Expo del primo tipo) e durano meno (circa tre mesi). Non hanno quindi né lo stesso peso economico e politico, né lo stesso afflusso. Non ha senso quindi paragonare un’Expo universale come Milano 2015 a una internazionale come Saragozza 2008, perché sono due cose diverse.

2. Expo è organizzata da un’apposita organizzazione internazionale, il Bie (Bureau International des Expositions), un’organizzazione internazionale politico-culturale (come per esempio l’Unesco) nata nel 1928 da un accordo tra stati (Convenzione di Parigi), che iniziò a dettare, attraverso un’accurata regolamentazione, requisiti e condizioni delle Expo, poi soggette a varie modifiche nel corso degli anni. Sul sito di Expo 2015 si legge che

L’Esposizione Universale è una manifestazione di natura non commerciale, mirata a creare una piattaforma per un dialogo internazionale tra i cittadini, i Paesi e le istituzioni intorno a un tema d’attualità e di interesse universale.

Come spesso accade nel campo delle relazioni internazionali, la Bie tende tuttavia a riprodurre i rapporti di forza internazionali. In questo senso è emblematico, nel caso di Expo 2015, il campeggiare di società private con veri e propri padiglioni personali, che sembrano ergersi a livello di stati creando sul piano visivo un’ambigua continuità tra l’aspetto politico-culturale e quello economico.

3. L’Expo non è una fiera. La differenza è che una fiera è eminentemente di natura economica, l’Expo è anche e soprattutto di natura politica. Dire che “non è commerciale” non significa tuttavia escludere l’aspetto economico, ma che lo scopo principale non è la vendita diretta di prodotti o servizi, bensì che oggetto della manifestazione sono generici prodotti culturali sul tema. Questo non esclude la vendita a latere di prodotti negli appositi negozi, o di cibo nei ristoranti e bar adiacenti. È qui, in un confuso intreccio tra politica, economia e cultura che si gioca l’ambiguità che a pelle infastidisce tanti. La maggiore o minore trasparenza del prodotto offerto dai padiglioni, dipende molto da chi di fatto finanzia un singolo padiglione: se esclusivamente lo stato del paese partecipante (e che tipo di stato: se democratico o meno) oppure anche un folto gruppo di imprenditori privati.

4. La cultura non è necessariamente pura e l’economia non è necessariamente sporca. Creare una piattaforma di dibattito per trovare soluzioni alternative a problemi universali come “Nutrire il pianeta”, di fatto è un punto di contatto, un creare relazioni tra mondi diversi che può essere interessante per tutti nella misura in cui ognuno ha uno spazio per esprimere la propria voce, anche se si parte da approcci e finalità diverse. Questo pluralismo che è dialogo democratico che unisce gli uomini al di là dei propri limiti e delle ipocrisie sarebbe il reale scopo alto di un’Expo universale. Ma di certo trovare soluzioni non basta, occorre poi attuarle. Tuttavia, è evidente che le parti in gioco coinvolte in un’Expo sono troppe perché un evento così complesso possa essere del tutto “puro”.

5. Ogni padiglione è una storia a sé. Alcuni sono finanziati dallo stato insieme ad imprenditori privati, come l’Olanda, in altri si ha una netta preponderanza di questi ultimi, come quello degli Stati Uniti. I padiglioni di paesi governati da dittatori tendono a riprodurre l’idea che gli stati siano proprietà personali. E da questo si capiscono molte cose su quello che si vede poi nei padiglioni e sul loro grado di retorica, spettacolarità e ricchezza di intrattenimento, che spesso va di pari passo con la quantità di soldi investiti (e che a volte non va di pari passo con la democrazia). Questa inevitabile dipendenza del prodotto-padiglione dalla sfera politica ed economica ha un impatto anche sulla qualità di tutta l’Esposizione. Nel caso di Milano 2015, ad esempio, mancano molte informazioni cruciali per la comprensione della reale situazione dei paesi presentati nei padiglioni, subordinata all’esigenza di aumentare l’afflusso turistico nel proprio paese. Spetta tuttavia al visitatore essere consapevole di questo artificio da spot turistico o propaganda politica, evidentissimo soprattutto in alcuni padiglioni.

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