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Creste e perizomi: quando la subcultura diventa mainstream

mainstream
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@Marilyn Roxie

Ciclicamente il tema della prostituzione va ad occupare le prime pagine dei giornali e ad infiammare le piazze di dibattiti, virtuali e non. Nel recente caso delle baby prostitute, le indagini hanno rivelato una rete di prostituzione e spaccio di cocaina allargata a macchia d’olio nelle principali città italiane.

Anche in Parlamento, più o meno timidamente, questo tema ogni tanto si ripropone in chiave di possibile legalizzazione della prostituzione. I bordelli italiani sono stati regolamentati fino al 1958, poi con la legge Merlin, tipico esempio di legge bizantina, sono diventati illegali, nonostante la prostituzione non sia mai stata considerata illegale in sé. L’illecito riguarda infatti lo sfruttamento e l’adescamento, il che in ogni caso non permette nessuna forma di regolamentazione del fenomeno. Il reportage pubblicato su Le Nius è un ottimo approfondimento, anche se io proverò ad utilizzare un’altra chiave di lettura.

Alcuni studiosi dei fenomeni sociali hanno affrontato il tema della prostituzione da un punto di vista che, a mio avviso, ci permette di fare delle considerazioni interessanti sul mutamento culturale che negli ultimi vent’anni ha progressivamente investito l’Italia. Il propulsore di tale mutamento è stato il “modello prostitutivo” avallato dalla “cattiva maestra” televisione commerciale, che per la maggioranza degli italiani è stata ed è la principale fonte di informazione. Un mutamento che secondo Nanni Moretti è passato addirittura attraverso “la creazione di un sistema di disvalori”.

Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Ma la chiave di lettura che considero interessante parte da questa considerazione: la cultura dominante, a sua volta dominata dal mercato delle merci, padrone anche della televisione commerciale per mezzo della pubblicità, fagocita gli elementi più ghiotti delle sottoculture o delle controculture di alcune minoranze marginali e le trasforma in elementi della cultura di massa, quindi in articoli alla moda.

Faccio subito un esempio. Qualche giorno fa passando davanti ad un salone di parrucchiere ho notato un avviso che diceva:

“Tendenze capelli autunno-inverno 2013-2014: creste punk e look grunge. Lo stile punk è una delle tendenze dominanti”.

Questa è quasi da manuale: la subcultura punk che fin dalla sua nascita negli anni settanta si è imposta con i suoi caratteri sovversivi, con il rifiuto per qualsiasi forma di controllo, tra cui il controllo sociale esercitato dai mass-media, oggi offre il suo stile a calciatori, giovani signore alla moda e tronisti. La regia di questo processo, naturalmente, è del sistema economico attuale, che per comodità possiamo continuare a definire capitalistico.

@skyenicolas

Anche la sottocultura della prostituzione trova continui e importanti collegamenti e forme di integrazione con la cultura dominante. Del resto, come già si è scritto su queste pagine, è una questione di cultura.

Come sottolineato dal sociologo Charlie Barnao in alcuni sui lavori, dal mondo della prostituzione si sono aperti canali attraverso i quali passano oggetti e modelli comportamentali che giungono al mondo della moda. Esempi ce ne sono molti.

Oggetti: pensiamo al perizoma, che oggi è un indumento intimo molto diffuso, ma che nasce alla fine degli anni trenta nei bordelli newyorkesi, quando un’ordinanza del sindaco Fiorello La Guardia impose alle prostitute, che erano spesso completamente nude, di “vestirsi un po’ di più”. Le prostitute si inventarono dunque un mini slip, il perizoma appunto, per poter continuare a lavorare.

Modelli comportamentali: il divertimento serale nei locali mostra che si adottano sempre di più comportamenti che sembrano mutuati dal mondo dei night club e degli strip club. L’interazione tra uomo e donna nei bar segue il rituale di seduzione che prevede comportamenti ben precisi nel bere insieme. L’uomo, generalmente, si propone di offrire da bere alla donna che ha conosciuto nel locale e mentre bevono insieme i due interagiscono e si mettono d’accordo sull’eventuale prosecuzione dell’interazione con un altro drink offerto. Il gesto di offrire da bere, simbolicamente, conferma l’interesse dell’uomo verso la donna, la quale, a sua volta, mette in atto determinate strategie per continuare a farsi offrire ulteriori bevande. Questo rituale è molto simile a quello che si osserva nei nightclub fra clienti e spogliarelliste, le quali guadagnano di più se riescono a farsi offrire di più, perché lavorano a percentuale. Così come la spogliarellista, anche le donne che si fanno offrire da bere guadagno qualcosa, ma si tratta del loro valore sociale all’interno del circuito dei locali, che è maggiore in base alla capacità di farsi offrire da bere.

Quindi mi chiedo, cosa succede quando questo processo culturale, spinto dal sistema economico attuale, investe sempre di più un fenomeno come la prostituzione, una prestazione sessuale a scopo di lucro che già di per sé si configura come una transazione commerciale? Semplicemente diventiamo tutti un po’ più troie?

Il tema è molto complesso e la discussione è aperta. Non so esattamente perché, ma mi viene in mente la battuta di Charles Bukowski:

“Il capitalismo è sopravvissuto al comunismo. Bene, ora si divora da solo”.

Forse perché la trasformazione del corpo in merce, in una suo forma estrema, non può che richiamare il cannibalismo.

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