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5 cose da fare in Norvegia

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@Leonardo Piccione

Il motivo principale per andare in Norvegia ha a che fare con l’essenza stessa del viaggiare. Non esiste un altro posto nel mondo che abbia ispirato così tanti uomini a mettersi in cammino. Per scappare, il più delle volte, nella speranza di una terra più fertile e di un clima più mite. Per un puro e insaziabile desiderio di conoscenza, molte altre. Sarà per la forma dei fiordi, accoglienti e placidi, o piuttosto per la luce del sole, rarefatta e chiarissima, sta di fatto che il lungo paese scandinavo invita noi al movimento esattamente come mille anni fa faceva con i Vichinghi. Di seguito sono quindi raccontate cinque cose da fare da Norvegia, giusto prima di studiare la direzione del vento e ripartire, ovviamente.

1. Cose da fare in Norvegia: invidiare i bambini nei Giardini Reali di Oslo

@leonardo piccione

– Mamma, come fa l’aereo a volare?
– Guarda, Lilli, per prima cosa accelera tantissimo. vedrai, tra poco correremo come non hai mai visto correre nessuno.
– Più veloce di Bolt?
– Molto, molto più veloce di Bolt, Lilli.

I bambini, specie se neofiti dell’aeromobile, non sono la categoria di vicini di volo che tendo ad accogliere con maggior giubilo. Chiassosi, sempre troppo entusiasti, smodatamente prodighi di domande. Credo che la mia insofferenza dipenda fondamentalmente dal fatto che io sia invidioso di loro: avrei voluto anch’io avere accanto a me la mamma, quando ho preso l’aereo per la prima volta nella mia vita.

– Visto, Lilli? Ora stiamo volando, come Mary Poppins.
– Ma Mary Poppins abita su una nuvola?

A me, che dopo quel primo appuntamento con un Boeing ho affinato il mio autocontrollo al punto che il volo non mi appare più moto forzato bensì bisogno fisiologico, la Norvegia appariva da qualche tempo destinazione necessaria. Per una questione quasi ontologica, verrebbe da dire: Roald Amundsen, l’esploratore più mirabile di sempre, era norvegese. Nel 1910 salpò a bordo della Fram per diventare il primo a raggiungere il Polo Nord; strada facendo gli dissero che Robert Peary l’aveva battuto sul tempo, e lui sapete che fece? Girò la nave e fece rotta verso sud, diventando il primo uomo a raggiungere l’Antartide. Sublime. Il povero Roald morì qualche anno dopo (in un incidente aereo…) nel tentativo di portare soccorso all’equipaggio del Dirigibile Italia, precipitato nel mare di Barents. La sua Fram è diventata oggetto di esposizione in uno dei musei più vibranti di Oslo.

Bello sarebbe diventare come Amundsen, viaggiatore in sé. Oppure – perché no – come Thor Heyerdahl, che alla nave preferì una zattera: nel 1947 attraversò il Pacifico dal Perù alla Polinesia sul Kon-Tiki, nove tronchi di balsa accostati tra loro, al solo scopo di dimostrare che la colonizzazione dell’arcipelago oceanico poteva essere avvenuta ad opera di popolazioni sudamericane. Tenace.

E che bello sarebbe anche ereditare un pezzetto dell’ironia suprema di Henrik Ibsen, lui che esalò l’ultimo respiro rivolgendosi all’infermiera che gli aveva appena detto di aver notato un miglioramento nella sua salute: rispose con un serafico “Al contrario”. Ci sarebbe da imparare pure dall’autostima di re Cristiano IV: nel 1624 cambiò nome alla futura capitale norvegese, ribattezzandola Christiania in un moto di umiltà. Amundsen, Heyerdahl, Ibsen, Munch: tutti sudditi di un sovrano che anche stamattina sta consentendo a decine di bambini di giocare a nascondino a dieci metri dal suo uscio, nel verde impeccabile dei giardini reali. Tra loro mi sembra di avere appena scorto anche Lilli, la mia vicina di volo preferita, con la sua mamma e quel faccino amabilmente insopportabile.

2. Scoprire l’ansia a Preikestolen

@leonardo piccione

 

Un ghiacciaio erode per migliaia di anni la costa, mangiandosela come una carie profonda si mangia un dente sano. Poi – per senso di colpa, sazietà o contrappasso – il ghiacciaio lentamente si dissolve, e resta la cicatrice a forma di U. I fiordi sono capolavori della pazienza, monumenti alla natura pacificata dopo la tribolazione: in norvegese antico fiordo vuol dire “simile a un lago”, e i laghi non sono certo il massimo dell’irrequietezza.

Lysefjord, uno dei fiordi più amati della Norvegia, si estende per 42 chilometri a partire da Stavanger, geometrica città sulla costa occidentale, capitale del petrolio artico e dei turisti da vertigine: si parte da qui per salire a Preikestolen, 600 metri a strapiombo sul fiordo. A Stavanger sono stato accolto da due degli odori che associo maggiormente alla pace e alla serenità: letame di mucca (l’aeroportino locale sorge in mezzo a pascoli verdeggianti) e brioche alla cannella (la cannella in Scandinavia si trova dappertutto, veramente: stamattina ho assaggiato una piadina alla cannella, buona).

Per una specie di legge di compensazione, i norvegesi riequilibrano la rilassatezza che gli deriva dai fiordi e dagli odori che li circondano sfrenandosi con qualcos’altro. Un qualcos’altro che ho appena scoperto essere gli orari di apertura dei negozi. Dico sul serio, da queste parti mettono addosso un’ansia pazza quando si parla di orari di apertura dei negozi. Supermercati e rivenditori di ogni tipo mostrano le ore di inizio e fine dell’attività come parte integrante dell’insegna luminosa. Esempio: Coop 8-19 (9-17), con i numeri tra parentesi che indicano l’orario domenicale. La parte dell’insegna con l’orario è meglio illuminata rispetto alla parte col nome del negozio; in alcuni casi è del tutto dominante: i numeri sono più grandi delle lettere e hanno un font più accattivante. Sono convinto che mi imbatterò molto presto in negozi senza nemmeno un nome da mostrare, solo l’orario di apertura:

– Hey, Thor, questo negozio è aperto fino alle 20, fermati ed entriamo!
– Ma che razza di negozio è, Signe? Non c’è scritto nulla…
– Che cazzo di importanza ha che negozio è? È aperto, qui e ora. Conta questo. Entriamo.

Qualunque sia il negozio, costerà tutto tantissimo. E vi si potranno trovare decine di improbabili pietanze al gusto di cannella.

3. Porgere omaggio a Harald Bellachioma

@leonardo piccione

The sun sets on the war
The day breaks and everything is new
(da “Winning a battle, losing the war” dei Kings of Convenience, duo di Bergen)

La principessa Gyda promise a Harald che l’avrebbe sposato qualora fosse diventato re di tutta la Norvegia. Lui per tutta risposta fece voto di non tagliarsi né pettinarsi i capelli finché non ce l’avrebbe fatta, e in breve tempo cominciarono a chiamarlo Harald Capelli Aggrovigliati.

Tuttavia dieci anni dopo, nei pressi di Stavanger, Harald sconfisse in un colpo solo il sovrano della Norvegia sudorientale e il re dello Svealand, unificando per la prima volta il popolo norvegese sotto un’unica insegna. Diventò re. Poi sposò Gyda e si fece cambiare il soprannome: passò alla storia come Harald Bellachioma.

Nel borgo di Madla, a pochi chilometri dal luogo della storica battaglia, ci sono oggi tre spade di bronzo alte dieci metri a commemorare vincitore e vinti. Soprattutto, dicono i norvegesi, quelle spade sono un simbolo di pace (perché sono piantate in una roccia molto solida) e di amore (perché in fondo è sempre quello che muove tutto, ma questo l’aveva già detto qualcun altro, un poco più a sud).

4. Ammirare la modernità delle capre del monte Fløyen

@leonardo piccione

Avete presenti i pannelli giganti che circondano un cantiere, quelli con i disegni che mostrano in modo estremamente ottimistico l’apparenza che dovrebbe avere (e che quasi sempre non avrà) il tutto a lavori ultimati? Ecco, le città norvegesi sono la versione tridimensionale e abitata di quei pannelli: spazi equilibrati, verde ben distribuito, edifici coerenti, vivibilità massima. La locuzione “a misura d’uomo” dev’essere stata coniata da qualcuno di ritorno da un viaggio in Norvegia.

Prendete Bergen, per esempio. Pare la realizzazione del progetto di un urbanista particolarmente illuminato. Nel parco del monte Fløyen, uno dei sette che circondano la città, sono state introdotte da qualche anno dieci capre con il solo scopo di ridurre l’altezza della vegetazione selvatica, in modo che la vista sul porto cittadino rimanga ottimale. Le capre del monte Fløyen, inoltre, sono le prime al mondo dotate di un sistema GPS che, quando le bestiole superano i confini virtuali del territorio in cui possono brucare liberamente, emette una piccola scarica elettrica: alcuni studi mostrano che alle capre bastano pochissimi shock per imparare la lezione. Qualora però uno degli ovini dovesse per qualche ragione far scattare il segnale per tre volte a distanza ravvicinata, il sistema invia una notifica in tempo reale tramite un’app installata sullo smartphone dell’addetto alle capre del monte Fløyen (sì, questo lavoro esiste) che, con spirito evangelico, si mette immediatamente in cerca dell’animale smarrito. Perché a quanto pare i norvegesi si sono messi in testa di trasformare il loro Paese nella dimora ideale di ogni essere vivente, mica solo dell’uomo.

Non so dire se la pensano allo stesso modo anche le due chitarriste che stanno suonando adesso al Kaos: si fanno chiamare “Bergen Mensband – Una band che dà consigli illuminanti sul ciclo mestruale”, ma non sono riuscito a farmi spiegare da nessuno degli astanti il significato delle loro canzoni, che pure mi fanno muovere su e giù il mento. Non so nemmeno se le decine di metallari appoggiati sui muri del garage bevano per festeggiare (l’orgoglio di vivere in un Paese perfetto sia per gli uomini che per le capre) o per dimenticare (un’altra settimana di agosto andata in archivio con 4 ore totali di sole: Bergen è la città più piovosa della Norvegia). Io so solo che ho finalmente trovato un posto dove bere una pinta con meno di 9 euro: su Christies Gate una Hansa media viene 290 corone, e tanto mi basta per volere un po’ più bene alla Norvegia. E pure alla Bergen Mensband.

5. Partecipare a un tramonto di Bergen

@leonardo piccione

Una ragazza in blue jeans scatta foto che non rivedrà mai. Quattro gabbiani si inseguono sulle rive del laghetto artificiale, forse credono sia oceano. Le finestre delle case più sotto liberano l’elettronica del Sanremo norvegese trasmesso a reti unificate. Alcuni universitari scendono di bici su un tratto di strada ripidissimo: arriveranno a casa in ritardo. Una coppia fa jogging nel parchetto dell’ostello della gioventù. Si accendono le luci verdi del tetto rotondo dell’ospedale. Una nave di medie dimensioni fischia fortissimo e fa sobbalzare una turista portoghese in posa a Bryggen. Il chiosco degli hot-dog annuncia di aver terminato le salsicce di renna.

Il tramonto di Bergen è mostra e museo, cartolina e souvenir. Il tramonto di Bergen, visto dalla mezza altezza di una delle sette colline che sovrastano il Byfjorden, è l’installazione principale della città, e si visita senza biglietto.

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