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Cosa ci fanno tutti quei migranti alla Stazione di Milano?

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Da ormai quasi due anni numerose persone straniere transitano per la Stazione Centrale di Milano, accampandosi di giorno e spesso anche di notte, nell’ormai arcinoto “mezzanino”. È uno di quei cortocircuiti del mondo globalizzato che ti lascia a metà tra l’interdetto e l’impotente. I migranti stazionano in uno spazio di nessuno sotto giganteschi schermi pubblicitari e in mezzo alle due imponenti rampe di scale che conducono migliaia di persone al giorno ai binari.

Sono sotto gli occhi di tutti. Con rara efficacia ci viene sbattuta in faccia l’opportunità di riflettere sui destini umani e sugli effetti di scelte politiche ed economiche. Eppure spesso non capiamo, non ci interroghiamo, oppure più semplicemente non vogliamo capire. E diamo la colpa a loro. Che danno una “brutta immagine alla città”, tra l’altro proprio ora che c’è “la vetrina di Expo”.

Ma cosa c’è da capire? Che quella della Stazione Centrale di Milano non è una situazione di emergenza (visto che prosegue da due anni) e che le persone che abitano il mezzanino sono la manifestazione di fenomeni globali più ampi, spesso assurdi e crudeli.

Facciamo un po’ di chiarezza: le persone che vivono in Stazione Centrale, per periodi lunghi o anche solo per una giornata, sono principalmente migranti siriani, eritrei e di altri paesi africani (Sudan, Somalia, Etiopia). Il loro numero è molto variabile, si va da qualche decina di persone a qualche centinaio, come negli ultimi giorni. Tra loro ci sono molte donne e bambini.

In questi ultimi giorni la situazione si è fatta più visibile, semplicemente a causa della chiusura delle frontiere da parte degli altri paesi europei, come vedremo meglio. Si è anche diffusa la notizia che alcune persone avessero la scabbia, malattia peraltro curabilissima e su cui non è il caso di fare allarmismi.

È chiaro che queste persone non si trovano in vacanza nel mezzanino della Stazione Centrale di Milano. La loro non è nemmeno una gita storico-culturale o una performance artistica contemporanea. La loro presenza è la manifestazione implacabile di alcune dinamiche globali, con cui la loro volontà non c’entra assolutamente nulla. Vediamo le principali.

La guerra in Siria

Da ormai più di quattro anni la Siria è dilaniata da una guerra civile di cui non si intravede la fine. Immagino che tutti ve ne siate accorti. Immagino che tutti sarete d’accordo con me se scrivo che le persone siriane che si trovano nell’ormai famoso mezzanino della Stazione Centrale di Milano non hanno alcuna responsabilità se si trovano lì. Che non è per fare un dispetto ai viaggiatori della business o agli organizzatori dell’Expo se dormono sui marmi della stazione di una città per loro lontanissima. Immagino che tutti siate d’accordo, ma purtroppo immagino male. Qualcuno, incredibilmente, se la prende con loro.

Fatto sta che prima che la guerra cominciasse la grande maggioranza dei siriani che oggi transitano in Italia se ne stava ben volentieri a casa sua, è un dato evidente che emerge da qualsiasi analisi dei flussi in entrata di qualsiasi paese europeo.

È altrettanto assodato che la grande maggioranza dei siriani oggi presenti in Italia vuole andare più a nord. In Svezia, principalmente. Ce lo ha raccontato benissimo il film Io sto con la sposa, ma è un dato che raccoglie chiunque abbia l’occasione di parlare con qualcuno di loro.

La brutale dittatura in Eritrea

L’Eritrea è governata da 20 anni da Isaias Afewerki, un signore che candidatosi come salvatore del popolo si è poi trasformato, nel silenzio generale, in uno dei più brutali dittatori al mondo. L’Eritrea è diventata una vera e propria prigione a cielo aperto. I giovani, donne e uomini, sono costretti dall’età di 18 anni a svolgere un servizio militare durissimo e praticamente perenne. Chi sfugge alla leva, o svolge altre attività considerate contrarie alla sicurezza nazionale, viene incarcerato e torturato, e spesso sparisce nel nulla.

Così i giovani scappano. Farlo è pericolosissimo, e non si contano le donne e gli uomini eritrei morti nel deserto e nelle prigioni della Libia, o affondati nel Mediterraneo, o ancora ammazzati al rientro in patria. Chi riesce ad arrivare in Europa lo fa spesso dopo viaggi spaventosi, che possono durare anni e che comportano violenze sessuali, torture, umiliazioni, estorsioni di tutto il denaro del migrante e di tutta la sua famiglia.

Tutto questo avviene lontano da noi, ma ci dà fastidio quando comincia a manifestarsi tra di noi, nelle nostre città, nelle nostre stazioni. Eppure c’entriamo e non poco con questa storia. Una storia che comincia con la campagna di Abissinia del 1895-96, prosegue con la nostra invasione coloniale fascista (in cui abbiamo ucciso circa 250 mila tra etiopi ed eritrei) e continua con gli affari d’oro che le nostre imprese, sostenute dai nostri governi, fanno con il dittatore.

È abbastanza evidente come l’intento degli eritrei non sia quello di disturbare la portata degli schermi pubblicitari della Stazione Centrale di Milano, ma di cercare una via d’accesso per costruirsi una vita il più possibile libera e dignitosa che, come i siriani, cercano per lo più nell’Europa del nord.

La sospensione del trattato di Schengen

Questo è il punto più dolente. Il numero dei migranti accampati alla Stazione di Milano e in altre stazioni, città e luoghi di frontiera in Italia è aumentato in questi giorni perché l’Unione Europea ha sospeso il trattato di Schengen che abolisce i controlli alle frontiere interne dell’Europa. E sapete perché? Per tutelare i potenti della terra riuniti al G7 di Garmish, in Germania.

Ebbene sì, per evitare che pericolosi facinorosi potessero raggiungere il luogo dell’evento e creare scompiglio nelle tranquille Alpi bavaresi le frontiere europee sono tornate a chiudersi dal 1 al 15 giugno 2015 su richiesta, prontamente accolta, di Angela Merkel. Avete letto bene. Per un evento di due giorni (il summit si è tenuto il 7 e 8 giugno) le frontiere sono state chiuse per quindici.

Il risultato è che le migliaia di migranti arrivati in Italia nell’ultimo periodo sono rimasti bloccati nel nostro paese. È una storia assurda, che accetta di spezzare i percorsi già fragili di persone deboli per proteggere sette persone in uno chalet sulle Alpi bavaresi.

Le politiche migratorie dell’Unione Europea

A parte la questione eccezionale della sospensione del trattato, i paesi dell’Unione Europea, soprattutto quelli del centro-nord, non hanno alcuna intenzione di modificare le politiche di “accoglienza” dell’Unione. È in corso un indecente spettacolo a chi gioca più sporco sulla pelle dei migranti.

Il risultato è che i migranti vogliono andare in paesi come Gran Bretagna, Francia, Germania e Svezia ma non riescono ad arrivare, rimanendo intrappolati in paesi dove non vogliono stare e che hanno anche meno risorse per gestire la situazione, come la Grecia e l’Italia.

Questi ultimi, per ripicca ma anche per l’effettiva difficoltà logistica, se ne guardano bene dall’identificare i migranti in transito sui propri territori perché altrimenti, per il famigerato regolamento di Dublino, la valutazione ed eventuale concessione dello status di rifugiato sarebbe a carico loro.

Da una parte quindi abbiamo un blocco di paesi che non ne vuole sapere di collaborare all’accoglienza dei migranti in arrivo e ricorre ad ogni mezzo per evitarlo, dall’altra un altro blocco (sostanzialmente Italia e Grecia) che si astiene dall’identificare per non doversi prendere carico delle persone sul lungo periodo, sperando che gradualmente scivolino fuori dai propri confini.

Insomma, una vera e propria massa di indesiderati che la civile Europa sta indegnamente abbandonando a se stessa.

Ma perché la Stazione Centrale di Milano?

Il risultato di tutti questi processi è che si formano zone di frontiera dove si accumulano persone in transito, che sperano prima o poi di riuscire a superare quei maledetti confini senza essere rimandati indietro. Ci sono concentrazioni di migranti a Calais, in Francia, per chi vuole andare in Gran Bretagna; a Melilla, nell’enclave spagnola in Marocco, per le persone che vogliono accedere alla Spagna; a Mersin, in Turchia, per chi vuole salpare per la Grecia o l’Italia.

In Italia le frontiere calde sono Ventimiglia sul confine con la Francia e Bolzano, dove si accumulano persone continuamente rimbalzate dal confine del Brennero, con situazioni che rasentano l’apartheid sui treni e nelle stazioni.

Ma sono “zone di frontiera” anche le stazioni, in particolare la Stazione Centrale di Milano, per una serie di motivazioni ragionevolissime.

1. Dalla Stazione di Milano partono un sacco di treni per la Francia, la Svizzera, l’Austria, la Germania. Insomma, per il nord, che è dove tutti vogliono andare.

2. La Stazione di Milano è un luogo straordinario per ottenere informazioni preziose per il proseguimento del viaggio. Ci sono continuamente persone che tornano indietro respinte ai confini che raccontano agli altri come fare per, cosa evitare, come forse poter fare meglio. O ancora persone appena arrivate da Lampedusa, o dal viaggio dalla Libia che possono raccontare preziosi aggiornamenti da comunicare poi ai familiari a casa o a loro volta in viaggio.

3. La Stazione Centrale è anche un luogo denso di servizi informali, a partire da quelli basici (cibo e medicinali forniti dal Comune e dalle associazioni di volontariato).

Al mezzanino della Stazione Centrale di Milano possiamo incontrare tutti questi fenomeni. Li vediamo lì, nei volti delle persone sdraiate sul marmo in attesa di continuare il cammino verso nord. Respinte, sballottate, indesiderate, eppure così coraggiosamente in cammino. Se invece di scuotere la testa imparassimo a guardare negli occhi, sapremmo immediatamente da che parte stare.

Immagine | Roberto Taddeo

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