Sono state ben tre le liste tra le quali i delegati hanno dovuto scegliere per eleggere il direttivo nazionale – una sorta di parlamentino interno: a quella già annunciata di Giorgio Cremaschi, oppositore storico e da sempre vicino a una visione movimentista e conflittuale del sindacato, votata dal 2,8% dei delegati – e al listone maggioritario della maggioranza riformista della Camusso (80,5%) si è aggiunta anche la lista Landini, capeggiata dall’operaio Fiat dello stabilimento di Pomigliano, Ciro D’Alessio, che ha preso il 16,7%.
La maggioranza rimane ben salda – e infatti il segretario generale è stato riconfermato – ma occorrerà certamente tener conto in futuro di questa erosione del consenso, anche considerando la circostanza per cui il ruolo di Landini (volente o nolente, poiché egli stesso ha dichiarato più volte di non essere interessato) va ben oltre il sindacato: si tratta senza dubbio della personalità con maggior credibilità e consenso tra quanti stanno a sinistra del Pd.
Senza entrare nei tecnicismi del dissenso espresso da Landini nei confronti della maggioranza della Cgil, sono due i temi forti su cui il segretario Fiom sta portando avanti la sua personale battaglia: la trasparenza e il tema della leadership.
Se su quest’ultimo ambito, rompendo un tabù, Landini si dimostra disponibile a parlare di primarie all’interno del sindacato, è senz’altro sul tema della trasparenza che ha compiuto il gesto più forte, pubblicando da diversi mesi sul sito della Fiom e l’ammontare dei compensi e il cedolino dei dirigenti del suo sindacato.
Sempre il leader Fiom continua con il suo rapporto di amore/odio nei confronti di Matteo Renzi: se ovviamente non può accettarne l’idea di non avere con le parti sociali alcun confronto, andando verso una visione di democrazia che sembra oltrepassare qualsiasi “corpo intermedio”, lo stesso Landini riconosce che il famoso bonus di 80 euro rappresenta un segnale positivo.
La vera partita però, ancora tutta da giocare, è sulla famosa legge sulla rappresentanza sindacale: presente nella famosa presentazione del Job acts (che dovrà seguire un lungo iter parlamentare) di Renzi, da sempre avversata dalla Cisl – che preferisce da sempre gli strumenti “contrattuali” – che vede in Landini un acceso fautore.
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