Il cibo in aereo: evoluzione in 50 anni
Qualità dei piatti a parte, quando si mangia in aereo occorre tener presente che la pressione dell’aria in una cabina d’aeroplano, la poca umidità e le vibrazioni fanno sì che le papille gustative lavorino con più difficoltà, come quando si ha il raffreddore. Il sapore salato è ridotto del 20-30%, così come quello delle erbe aromatiche.
Dopo avere pagato centinaia di euro per un volo intercontinentale, una volta a bordo ai passeggeri viene consegnato il menu con piatti dai nomi altisonanti e dagli accostamenti intriganti che lasciano presagire piatti di alta cucina. La realtà, tuttavia, è ben diversa: l’assistente di volo che si avvicina con il carrello portavivande formula la fatidica domanda che non lascia scampo ad ulteriori alternative:
Chicken or beef? Pollo o manzo?
Ecco allora che sul nostro tavolino atterra un vassoio con un “qualcosa” spacciato per antipasto, un triste contenitore riscaldato nel forno elettrico dall’involucro appena tiepido, ma dal contenuto incandescente evocante scene di fantozziana memoria, uno yogurt annacquato o un dessert al limite della congelazione, pane industriale freddo, oltre a caffè o tè ai limiti dell’imbevibile.
Eppure negli anni ‘70, sui voli di linea i pasti consumati a bordo erano autentiche ghiottornìe, costituite da cibi freschi, ben cucinati, elegantemente presentati, accompagnati da vini di prim’ordine.
Se i prezzi dei biglietti aerei nelle tratte a corto e medio raggio sono diminuiti in poco meno di 50 anni – applicando gli indici di rivalutazione del denaro – mediamente del 70% rendendo le tariffe accessibili quasi a chiunque, la qualità e la quantità dei pasti a bordo hanno subìto una pedissequa discesa.
Si è passati dall’aragosta servita su stoviglie di porcellana inglese, i menù accurati, gli chef e le posate in argento, al misero sandwich al tonno cellofanato.
Il cibo in aereo: strategia di vendita?
Con l’incremento delle frequenze dei voli e soprattutto la guerra delle tariffe tra compagnie che comporta margini di guadagno sempre più ridotti, il servizio di ristorazione aerea ha assunto un ruolo sempre più strategico nei voli intercontinentali, in Business e Prima Classe, rispettivamente le tratte e le classi economicamente più rimunerative. Questa situazione ha avuto non pochi risvolti negativi sul comfort dei passeggeri in classe economy, a cominciare dal servizio catering. Ogni singolo pasto costa alla compagnia mediamente 4-5 euro e curiosamente oltre ai pasti per i passeggeri, si preparano anche quelli per l’equipaggio, sempre diversi per i due piloti per evitare il rischio di intossicazione di entrambi. La tendenza, per risparmiare, è quella di eliminare colazione, pranzo e cena su tutti i voli con durata inferiore alle 2 ore proponendo in alternativa – ovviamente a pagamento – snack, panini e bevande.
Per attrarre sempre più clienti “premium” in Business e Prima Classe, rendere più agevole il loro viaggio, soddisfare i loro palati e generare così maggiori profitti (che, dopotutto, rappresentano il reale motivo di tutte queste attenzioni), quasi tutte le compagnie hanno deciso di puntare sul catering di qualità tra le nuvole sviluppando autentici menu gourmet offrendo un assaggio della cucina tipica del paese di origine o pietanze con l’accento della destinazione. Insieme alla cooperazione con chef stellati, le compagnie aeree oggi fanno ricorso anche alla scienza servendosi di veri e propri studi per ideare piatti sempre più raffinati e gustosi.
Ricreare le condizioni per un’esperienza aerogastronomica a 11.000 metri nello spazio ristretto della cabina di un aereo è un’operazione molto complessa, di certo destinata a generare alti profitti e dedicata solo ai passeggeri di Prima Classe dei voli intercontinentali. Coloro disposti a pagare dai 12.000 in su per un biglietto di andata e ritorno. Aragosta più, aragosta meno…