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Acciaierie Lucchini: storia di Khaled Al Habahbeh, possibile acquirente

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Khaled Al Habahbeh è un signore molto ricco di origini giordane, con passaporto americano e head office a Dubai, che si è messo in testa di prendersi le acciaierie Lucchini di Piombino, residuato novecentesco ad un passo dal fallimento.

Acciaierie Lucchini: le ombre di Khaled Al Habahbeh

Al Habahbeh – anche noto come Khaled Al Habahbih o come Ali Jamil Al Hababeh – oltre ad essere tutte queste tutte cose ne è anche molte altre, tutte parecchio fantasiose. È nato il 23 luglio del 1966 a Shoubak, un paesino di montagna della Giordania, e ha studiato economia e commercio negli States, precisamente all’University of Maryland College Park. Le cronache raccontano che abbia sposato una ricca ereditiera americana, figlia di un finanziere di origini ebraiche. Businessman, tra le tante cariche societarie che ricopre, il 48 enne giordano è anche il magnate del gruppo tunisino Smc, la società nordafricana che vorrebbe rilevare il sito toscano di produzione d’acciaio.

Fin qui tutto bene. Eppure basta volgere lo sguardo nell’ombra per trovarsi al cospetto dell’inquietudine. Khaled è un ex galeotto. Arrestato nel giugno del 2001 ha scontato poco meno di tre anni di prigione perché falsificava informazioni bancarie grazie alle quali otteneva prestiti. Detenuto (inmate n° 24208-018 col nome di Khaled Al-Habahbih) nella prigione federale di Yazoo City in Mississippi, il giordano è stato rilasciato il 25 maggio del 2004. Ma se un reato del genere può essere nelle corde di un uomo d’affari, ciò che sconcerta, passando in rassegna la sua fedina penale, è la condanna da piccolo chimico: “impastava” pseudoefedrina per sintetizzare la metanfetamina, la droga dei poveri.

I rapporti tra Al Habahbeh e Hezbollah

Guardare nell’ombra però non basta. Aguzzando anche le orecchie, infatti, voci provenienti dall’intelligence americana, raccolte da fonti vicine al dossier della vendita di Lucchini, raccontano come Al Habahbeh sia contiguo con il movimento libanese sciita guidato da Hassan Nasrallah: Hezbollah. Pare che il giordano, riporta chi ha condotto la ‘due diligence’ su Khaled Al Habahbeh e i suoi diversi alias, finanzi il ‘Partito di Dio’ con i proventi delle sue attività, quelle appena passate in rassegna, sul crinale tra il lecito e l’illecito.

Questa al momento la sua biografia. Certo, com’è giusto che sia, specie per un ex carcerato, tutti meritano una seconda opportunità che li redima, ma è l’attivismo schizofrenico di Khaled che mina dubbi sulla sua credibilità. Mentre infatti si gioca la partita complessa per salvare la Lucchini, e il destino dei circa duemila operai coinvolti, prima che ad ore si spenga irreversibilmente l’altoforno, l’affarista arabo tratta con il comune di Limoux, piccola cittadina nel sud della Francia, lo sfruttamento delle loro acque. Per un verso vuole imbottigliare e vendere l’acqua di Limoux, stile a la Evian; per l’altro vuole sfruttarne, in chiave turistica, i benefici termali. Che incredibile visionario.

Ma la fantasia che Al Habahbeh cova per Limoux non è sostanzialmente dissimile rispetto al progetto che ha in mente per Piombino. Senza entrare nel dettaglio della vertenza, l’offerta del gruppo Smc è quella che sulla carta sostiene di garantire i livelli occupazionali, nonché produttivi, di un’azienda alle prese con perdite pari a 800 milioni e zero soldi in cassa. Il problema, oltre al curriculum di Mr Khaled Al Habahbeh, della ‘Special manufacturing and construction’ è l’essere una società con capitale fino a pochi giorni fa pari a due milioni di euro, passata poi alla cifra monstre di due-miliardi-due di euro dopo una fulminea, per non dire ingente, ricapitalizzazione.

@Stefano

La Smc, costituita ad agosto 2013, è però solo un satellite della galassia Khaled Al Habahbeh che ha il suo centro nella Med Food, società anch’essa tunisina, il cui business consiste nel produrre ed esportare piatti pronti di carne e pollo.

Passare dagli alimenti all’acciaio non è la sola intenzione del ricco giordano. Per rendere le cose più complicate, per non dire poco credibili, Al Habahbeh vorrebbe, investendo tre-miliardi-tre, trasferire l’acciaieria dal sito storico, bonificarne i luoghi (stimabili in 85 ettari) e farne una grande attrattiva turistica. Siamo nel campo del fantasmagorico.

Staremo a vedere come andrà a finire, nel frattempo però, dopo innumerevoli scorribande del genio giordano, bisogna registrare che la procura della Repubblica di Livorno ha aperto un fascicolo su Al Habahbeh, alla luce di un esposto presentato dal commissario straordinario delle acciaierie Lucchini, Piero Nardi, circa l’ipotesi di turbativa d’asta.

@Stefano

Dall’avversione all’accettazione acritica dei capitali stranieri

Eppure questa esperienza, e il generale abboccamento che ha prodotto, sono il segno di un primo cambiamento nel sentiment generale. Siamo passati infatti da un’avversione diffusa verso i capitali stranieri, ritenuti essere poco meno di raider sul sacro territorio nazionale, a tanti sostenitori acritici.

Ricordate, per fare qualche esempio, le avversioni nei confronti di AirFrance quando, nel 2007, voleva rilevare la nostra disastrata compagnia di bandiera? Ecco, dopo l’intervento fallimentare della cordata nazionale che scalzò i francesi, la stiamo (finalmente) cedendo, dandola in pasto a Etihad, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti, e alla stesso vettore franco-olandese.

E che dire della difesa del sistema bancario italiano? Ricordate i furbetti del quartierino, i novelli capitani coraggiosi rappresentati da i vari Consorte, Ricucci, Gnutti e Fiorani, tutti riuniti sotto il cappello di Fazio a palazzo Koch? La crisi, le insolvenze, il livello di crediti deteriorati nella pancia dei bilanci delle banche – che ha ormai superato i 270 miliardi di euro, una quota che eccede la patrimonializzazione dell’intero sistema – ha aperto, o meglio, spalancato le porte ai quattrini con passaporto estero.

Per stare solo alla recente cronaca, Blackrock – il fondo americano da 4.300 miliardi gestiti guidato da Larry Fink – ha letteralmente scalato nelle scorse settimane le nostre “banche di sistema” facendo incetta di quote: Intesa SanPaolo (con il 5% del capitale), Unicredit (5%) e Monte dei Paschi di Siena (5,7%). Il tutto mentre allunga le mani su Telecom, con una quota sommabile pari al 10%, e si vocifera lo farà con Saipem (Eni). E poi ancora, per vie traverse, detiene il 5% in Atlantia, il 4% in Fiat, il 2,8% in Generali.

Certo al contempo ci sono esempi inversi, basti pensare alla Fiat che ingloba Chrysler (o viceversa), oppure all’accordo raggiunto tra Google e Luxottica per i futuristici ‘google galass’ di Mountain View che proietta l’azienda guidata dal ‘renziano’ manager, Andrea Guerra, in un mercato potenzialmente globale.

Ma è il ‘Sistema Italia‘, fondato sul falso mito del piccolo è bello, delle multinazionali tascabili, che non regge più. Senza guardarci dentro basta ragionare sul fatto che il tessuto produttivo, oltre ad un problema di prodotto e di processo, è vessato da problemi di credito, così come da una gestione, nonché da una proprietà, di tipo familiare.

La patrimonializzazione è scarsa perché è stato, negli anni, troppo allettante investire in finanza, nelle rendite, piuttosto che nel rischio d’impresa. Fare soldi attraverso i soldi, questo era l’imperativo. Adesso siamo al dunque. Per dirla volgarmente: senza pecunia da investire, contemplando con ciò l’inevitabile rischio d’impresa, non si compete e non si cresce, semplicemente si muore. Così, mentre l’orchestrina del Titanic continua a suonare, possiamo continuare a farci prendere in giro e berci tranquillamente le parole e le promesse di un Khaled Al Habahbeh qualsiasi.

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