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Quanto abbiamo bisogno dell’Isis?

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@USA Today

Il fatto più brutto a cui ho assistito ieri, con tutto il rispetto ed il dolore per le vittime della strage a Monaco, non è stato, purtroppo, l’evento in sé. È stata dura, piuttosto, digerire una certa sensazione che mi derivava dai telegiornali che seguivano in diretta le vicende: la sensazione, nello specifico, che esistesse una necessità, un bisogno irresistibile che l’autore della strage fosse, direttamente o indirettamente, ricollegabile al mondo arabo e magari proprio all’ISIS.

Partendo dal presupposto che chiunque, in un primo momento, avrà elaborato questo tipo di pensiero, resta il fatto che chi si occupa di informazione (media televisivi e radiofonici) e chi gode di una certa visibilità (politici ed opinionisti) dovrebbe cercare di limitare la propria impulsività e di trasmettere al pubblico solo notizie certe.

Al contrario: non solo tutte le interpretazioni televisive e politiche in un primo momento vertevano verso un attentato di matrice islamica, ma anche dopo le prime segnalazioni (il grido “Sono tedesco”) e le prime indicazioni delle autorità (“Non diffondete illazioni”, “Non ci sono elementi che facciano pensare all’ISIS o ad un lupo solitario”) permaneva una certa tendenza a non escludere il legame con il fondamentalismo islamico.

Sull’onda di queste certezze preconfezionate e pregiudiziali, vedevo, nel mio zapping tra un canale e l’altro, approfondimenti che andavano a ricollegarsi agli altri attentati dell’ISIS, al massacro di Monaco del 1972, all’episodio di appena pochi giorni fa che ha visto protagonista un giovane armato di ascia e coltello su un treno tedesco; eppure niente, stranamente, sul raid aereo statunitense che il 19 luglio ha causato la morte di decine di innocenti siriani (tra cui molti bambini) scambiati per miliziani dell’ISIS.

Alla notizia ufficiale che non esistevano prove di alcun legame col terrorismo, ecco molti media fare un passo indietro, salvo potersi salvare in corner sulle origini mediorientali dell’attentatore.

Mi sono chiesto, allora, quanto abbiamo bisogno dell’ISIS. Perché identificare un nemico e renderlo l’unico responsabile di tutto il male del mondo ha una duplice funzione: da una parte aiuta i media a dare in pasto alla gente temi caldi, a catturare l’interesse, a toccare le corde in questo momento più sensibili e a fare ascolti; dall’altra permette ai politici di cavalcare l’onda della xenofobia e di rafforzare certe posizioni estreme, guadagnando con facilità sostegno e voti appoggiandosi alle paure della gente.

C’è in realtà una terza ragione per cui il terrorismo islamico, per quanto spaventoso, ci fa comodo. Ci permette di dimenticare che il male e l’odio esistono in ognuno di noi, anche nel nostro collega di lavoro, anche nel nostro vicino di casa che sembra tranquillo (come sembravano, ai loro vicini, l’attentatore di Monaco, o quello di Nizza), persino in noi stessi.

Ci permette di distinguere un noi ed un loro e di identificarli con un giusto ed uno sbagliato. Almeno finché non capita, come ieri, che una tragedia si riveli causata da un comune cittadino tedesco (per quanto si tenda oggi a sottolineare con insistenza quel tedesco-iraniano che sembra fornire, appunto, una giustificazione), il che ci lascia storditi, increduli, barcollanti, privi di appigli per il nostro moralismo e per il nostro opinionismo da bar.

Tanto che, prevedo, dimenticheremo molto presto questo terribile evento e nella cronistoria del 2016 passerà in molti casi sotto silenzio. A meno che, nelle prossime ore, non si scopra qualche minimo legame, qualche pur lontanissimo dettaglio che possa far pensare all’islam fondamentalista, in modo da saziare quel nostro bisogno irrinunciabile di personificare il male e da aiutarci a dimenticare tutto quello che facciamo noi.

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