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Voto in Scozia: un sì per rilanciare l’Europa

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Sottolineo che l’Europa deve affrontare una crisi economica assai grave e deve superarla non già ricostruendo il vecchio modello di sviluppo, ma dandosene uno in cui la crescita sia al servizio dell’uomo, non viceversa; l’Europa deve riacquistare una sua personalità e deve assumere responsabilità crescenti nello sviluppo del Terzo Mondo: ma non può venire a capo di queste ‘sfide’ con una debole Comunità minata dalle gelosie dei Governi nazionali; e allora perché aspettare a potenziare un Parlamento europeo, eletto a suffragio universale e al quale sia responsabile un autentico governo europeo?

(Altiero Spinelli in “Breve storia del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa” di Umberto Serafini).

Oggi si vota in Scozia per l’indipendenza dal Regno Unito. Questo avvenimento potrebbe creare una situazione inusuale per l’Unione Europea, non essendo prevista dai trattati l’autonomia in una “regione” dei paesi membri e la sua conseguente adesione all’Unione Europea. Molti vedono come un problema la possibile vittoria del Si, ma se invece provassimo a vedere questo rischio come un’opportunità? Un modo per provare a superare l’idea dello stato nazione e andare verso il modello federale dell’Europa delle regioni?

Voto in Scozia: un si per rilanciare l’Europa

Il sogno di Altiero Spinelli (padre fondatore della Comunità Europea) e condivisa da molti di noi che crediamo che per una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse non solo economiche, ma anche naturali ed intellettuali, sia necessario effettuare una sorte di “Sacco di Roma”, andando a rafforzare il legame istituzionale e decisionale tra Bruxelles e le regioni. Regioni che non dovranno seguire esclusivamente i confini esistenti e delineati dagli stati, ma dovrebbero essere pensate come macro-regioni basate sui flussi di informazione ed economici, che intercorrono tra territori confinanti. Una nuova Europa, una nuova mappa del presente e delle future generazioni.

Questa necessità emerge dalla consultazione pubblica effettuata dal Comitato delle Regioni, che ha preso in esame volta per volta ciascuna delle sette iniziative faro di Europa 2020, indicano che la strategia non sta tenendo fede alle promesse e che tuttora gli enti locali e regionali non ricevono il sostegno di cui hanno bisogno per affrontare la crisi e generare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

Dalla consultazione emerge in modo forte:

1. La mancanza di una dimensione territoriale – i programmi nazionali di riforma vengono ancora elaborati dai soli governi nazionali, che fissano obiettivi privi di ambizione;

2. Una governance inadeguata – per la rinnovata strategia Europa 2020 occorrerà prevedere una governance multilivello in tutti gli Stati membri;

3. L’insufficienza dei finanziamenti – la mancanza di investimenti locali fa perdere terreno alla strategia e nel nuovo bilancio dell’UE per il 2014 non sono previste risorse sufficienti per realizzarla.

I risultati emersi si conciliano molto bene con il punto di partenza del pensiero alla base del Movimento Federalista Europeo fondato da A.Spinelli. Questo risiede nel vedere in crisi il modello dello stato nazionale e nell’individuare nelle caratteristiche fondamentali dello stato nazionale e del sistema internazionale di stati le cause principali delle due guerre mondiali e del nazifascismo, oggi si potrebbe dire lo stesso per la crisi economica e sociale degli stati.

Nei primi anni del dopoguerra Altiero Spinelli, pur non sottovalutando l’importanza della mobilitazione del sistema europeo dei poteri regionali e locali, espresse la sua convinzione che valesse di più tentare la mobilitazione diretta del popolo europeo attraverso iniziative ad hoc, proprio come quella del “Congresso del popolo europeo” (dopo la caduta della Comunità Europea di Difesa, 30 agosto 1954) che avrebbe dovuto dar luogo ad un organismo sovranazionale per la formulazione di una costituzione federale europea.

Ad oggi però vediamo come il proposito di Spinelli di arrivare ad un Parlamento Europeo realmente espressivo della volontà dei cittadini e dotato di poteri adeguati ad una corretta gestione del territorio non è possibile. Oltretutto le forti spinte indipendentiste (Scozia, Catalogna, Veneto) rischiano di indebolire il sogno europeo se non saremo capaci di sfruttare questo momento per rivedere la struttura istituzionale comunitaria.

Per queste ragioni, l’ipotesi che sembra più ragionevole perseguire, per le forze politiche che intendono continuare il processo di unificazione europea, nella prospettiva delineata nel corso della Resistenza, è quella dell’Europa come stato federale aperto. Vi è una parte di ragione nell’accusa che gli anti-federalisti rivolgono alle forze europeistiche, senza una chiara visione del punto di arrivo, di voler costruire un super-stato europeo, “una unione sempre più stretta”.

Noi federalisti europei riteniamo che si debba superare la sovranità assoluta degli stati per conseguire e garantire la pace e il benessere. Da un lato, il modello dello stato nazionale va superato verso il basso, ovvero introducendo modelli di organizzazione politica e sociale il più vicini possibile ai cittadini, valorizzando ad esempio il ruolo degli enti locali o delle regioni. Dall’altro lato, il modello dello stato nazionale va superato verso l’alto, con la creazione di una federazione europea.

Non dobbiamo quindi avere paura di questo voto, ma dobbiamo essere cittadini ed istituzioni resilienti in grado di continuare a fare il nostro percorso di pace e di costruzione di un’Europa federale fin da domani. Questo voto può ridurre la distanza tra l’Europa ed i cittadini, non abbiamo paura di cambiare faccia.

Immagine| ilnazionale.net

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