Site icon Le Nius

Viaggio a Tokyo tra fumetti e camicie bianche

Reading Time: 3 minutes
@itsune

Chi è nato tra gli anni ’70 e ’80 sa cosa significa passare l’estate a Roma a guardare le repliche dei Cavalieri dello Zodiaco o di Doraemon nelle televisioni private finché non si fanno le quattro e poi puoi scendere per strada a giocare a pallone perché fa meno caldo.

Chi è stato adolescente negli anni ’90 e si è trovato tra le mani uno dei primi manga pubblicati in Italia sa che significa dover spiegare ai propri coetanei il concetto nerd (pure se all’epoca nerd era una parola strana e senza senso, come hipster adesso) della lettura al contrario o del perché spendeva la sua paghetta in fumetti che parlano di baseball piuttosto che comprare sigarette o giornaletti porno.

Chi è trentaquattrenne nel 2015 sa che significa “Viaggio in Giappone” dopo una vita passata a sognare di lanciare una palla curva o a fare un gol rivivendo il più lungo flashback della storia del fumetto o con tenacia e grinta superare le difficoltà come farebbe Lotti su un green del golf.

Poi arrivi.
Atterri.
Konnichiwa.

Viaggio a Tokyo tra fumetti e camicie bianche

Tokyo è travolgente.
Nel senso che ti travolge. Letteralmente. Per la stazione di Shinjuku transitano 3 milioni di persone al giorno e se l’ultima immagine che avevi del Giappone erano i templi di Nara e se quando senti parlare di pendolari pensi alla Roma-Civitavecchia allora beh, sì, sei travolto.
E ci metti un po’ a riprenderti. A capire cosa fare, dove andare o banalmente a chi chiedere.

Perché qui corrono tutti?

Sei in mezzo a un fiume e fermo troppo a lungo non ci puoi restare. Allora molli la presa, ti butti nella corrente e la segui o meglio lasci che ti porti lei (chiaramente all’uscita sbagliata).

@escalepade

Tokyo brilla, anzi scintilla. Maxischermi grossi come casa mia trasmettono video musicali inframmezzati da adolescenti vestiti alla moda o svestite a modo, che dicono qualcosa. Non sai cosa, ma è per 24 ore al giorno.
Ti offrono sexy japanese girls in mezzo alla strada. Adolescenti che ballano e cantano diventano icone idolatrate (ma del resto cos’era Creamy?) e la richiesta per i loro biglietti è così alta che si fa una lotteria. Se vinci vai al concerto, se perdi resti a casa o vai al Café e vedi i video lì, con le cameriere vestite come le cantanti. Palliativi in carne e ossa, in fondo.

Tokyo è soft porno. E lo è in tutto.
Tokyo è di per sé l’ambientazione di un manga.
Tokyo è un fumetto a colori, o un anime con una scheda video potenziata.
Tokyo è prima virtuale. E poi reale.
Tokyo è la cantilena elettronica delle sale giochi.

Tokyo è gli otaku che cercano manga porno nei seminterrati dei negozi di Akihabara e che poi si bevono un Mojito da 1000 Yen al Gundam Café.
Tokyo è l’unico posto dove pensi che siano realizzabili i racconti di Black Mirror. I bagni ti parlano, mentre fai pipì una voce femminile suadente ti dice You’re beautiful.

E in mezzo a tutto questo, come se nulla fosse, eserciti di camicie bianche e cravatte si muovono all’unisono come radiocomandati da un telefonino bluetooth. Un esercito educato che non si arrabbia mai, che quando finisce il turno lo trovi con la cravatta allentata in sala giochi o al pachinko.

@Daniele

Tokyo è tutto e il suo contrario. E in cuor mio so già che non la capirò. Tokyo non dorme mai, Tokyo beve birra, succhia rumorosamente i ramen e il giorno dopo si sveglia e va a lavorare.
Con una camicia bianca, pulita e dal colletto inamidato.

CONDIVIDI
Exit mobile version