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Se Chagall volasse sulle note dei Gogol Bordello

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Rooster Man Above Vitebsk, di Marc Chagall (1925). Immagine| www.bloomberg.com

Esiste una legge non scritta che vuole i musei avvolti in una nuvola di silenzio, popolati solo da bisbigli e passi leggeri. Sarebbe invece piacevole far andare occhio e orecchio allo stesso ritmo, lungo i dettagli di un’opera, cullati da una colonna sonora.

Cosa penserebbe di un connubio tra arte e musica Marc Chagall, autore di quadri pieni di movimento, di ritmo?

Le sue figure, sorprese a fluttuare sulle città della memoria, non possono certo muoversi in silenzio: il loro volo corre a tempo di musica, seguendo il contrarsi e il dilatarsi di una melodia invisibile.

L’uomo-gallo di Chagall e i Gogol Bordello

Tra tutti i personaggi sospesi di Chagall, quello più enigmatico è forse l’uomo-gallo, protagonista del quadro L’uomo-gallo sopra Vitebsk. Al limite tra sogno e allucinazione. Una figura metà uomo e metà animale che sorvola i tetti con una lanterna in mano. Questo dipinto del 1925 mi evoca lo strazio della voce rauca di un cantante di origine sovietiche, Eugene Hütz, dei Gogol Bordello, come la sento nella canzone Baro Foro, accompagnata da una musica dal ritmo crescente, trascinante.

Tra le pennellate del pittore bielorusso leggo la storia di un desiderio, il volo, tipico dell’uomo quanto del gallo, a cui si sovrappone quello di tornare alla casa dell’infanzia. Entrambe le azioni sono impossibili, segnano i limiti dell’agire umano, di Chagall. Eppure l’uomo-gallo vola, ritorna ai tetti del villaggio russo.

In Baro Foro si rivive l’atmosfera di vecchi villaggi ebraici nutriti a nostalgia e rassegnazione. La musica dei Gogol Bordello si arricchisce di note gitane, fa il giro del mondo con il suo punk, raccontando la storia di chi rompe le regole, come l’uomo-gallo che vuole volare, di chi scappa in cerca di qualcosa di migliore.

Stessa sorte è toccata anche a Chagall che lascia il cuore in Russia, vivendo a Parigi in una realtà sempre popolata di ricordi, di immagini di una casa che forse non c’era già più; manda l’uomo-gallo a vegliare sui tetti di Vitebsk, a sorvegliare chi vi è rimasto.

E lui vuole portarci con sé nella sua scorribanda notturna. Come fanno i Gogol Bordello: le parole sono tirate, snocciolate veloci, urlate, su una musica energica e malinconica. Risuona alta la tromba, il canto del gallo poco prima dell’alba; si sovrappone una fisarmonica, un violino che segna gli accenti, come una banda che cammina e porta via con sé la festa.

La voce rotta è proprio quella che immagino per l’uomo-gallo, con corde vocali arrugginite ma potenti, e il canto si fa urlo e pianto perché il paese è lontano. La casa è andata, la musica è solo nostalgia e ricordo. Si fa turbine, veloce e sfuggente, recando con sé il fumo dei camini e le luci delle finestre. Il cielo grigio si gonfia di note acide, è sempre troppo vasto per il volo dell’uomo-gallo.

Un uccello che non può volare, proprio come l’uomo. Eppure va, indietro, a rincorrere il tempo. Non c’è colonna sonora migliore per questo dipinto, per dar vita alle emozioni più cupe che pulsano da quelle casette basse, per dar voce a quel filo di speranza che lascia la lanterna dell’uomo-gallo.

Il ritmo delle note si dilata, poi si contrae, sempre più simile a quello del cuore di chi corre, di chi vola senza ali. Per poi fermarsi, di colpo, come il sogno che l’ha generato.

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