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Tasmania: la fotografia e il non tempo

Tasmania hp

@thomasronchetti.net

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@thomasronchetti.net

Se per un verso la fotografia è legata nella sua meccanica alla concezione del tempo (ieri più di oggi, considerando l’intero processo di sviluppo di una foto), per l’altro è difficile trovare foto che “parlino” del tempo. La maggior parte delle immagini si presenta e racconta di un attimo catturato, la cui narrazione è ritagliata dai bordi temporali e fisici dell’obiettivo.

Pochi tra i grandi fotografi hanno proposto lavori la cui narrazione fosse al di fuori di quei bordi ritagliati. Se quindi si riuscisse ad uscire dal concetto di tempo narrativo, di realtà sequenziale, di vissuto, si aprirebbero probabilmente nuove prospettive di irrealtà, intesa come realtà altra rispetto a quella percepita, in cui il tempo non sia più incatenato al suo scorrere continuo, ma sia libero di accelerare, rallentare e persino fermarsi.

Un barlume di questa esperienza mi ha scosso durante un viaggio in Tasmania, una terra-isola che per colori, luce e linee pare di primo acchito rassicurante e calda, capace di cullarti in un respiro portato dagli oceani che la circondano, confuso negli odori di foreste secolari. Ma che senza preavviso si ritira, come aspirata da un qualche buco nero al suo interno, come una diva indifferente ai flash e agli ammiratori. E lo stesso respiro, sul cui ritmo ti eri seduto, si blocca. Il silenzio degli orizzonti fotografati diventa assordante, e così come era sparito, il respiro ritorna, ma più lento, più freddo, di una tonalità acuta che non riconosci, a cui presti l’orecchio ascoltando un ritmo sincopato che piano piano si ridistende.

La fotografia può passare dalla Realtà, tempo degli orologi e dei secondi, al Sogno, tempo delle pulsazioni aritmiche?

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