Potrei risparmiarmi un sacco di sforzi tagliando e incollando la sinossi riportata sulla presentazione:
Natascia è una donna trincerata nel suo salotto, la sua tana sicura e solitaria; l’unica ad essere ammessa è la colombina impomatata, la presentatrice imprigionata nella televisione. La colombina è la sua muta dama di compagnia, e come tale deve solo ascoltare, annuire, compiacere la fantasia perversa della propria padrona.
Fino a che non dice una cosa vera, una sola, piccola, terribile… E allora il meccanismo si inceppa e tutto crolla, si frantuma in una verità banale e crudele: davanti al dolore autentico, l’atto più eroico che si possa compiere è stare.
Stare nel dolore, fermarsi, accettare la propria debolezza, senza più cercare vie di fuga.
Dicevo, potrei limitarmi a questo, ma non sarebbe corretto. Perché sì, è vero che Tana parla di una donna non del tutto sana di mente che dialoga col televisore raccontando dei suoi quattro matrimoni e del rapporto difficile con il figlio. Ma è anche vero che il riassunto qui sopra, per quanto corretto, non rende l’onore che merita allo spettacolo.
Ma soprattutto il comunicato stampa omette di precisare che Tana è una notevole prova d’attrice. Marta Mungo, classe 1985, formatasi presso la Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi, è brava a lasciar filtrare dolorosi sottotesti attraverso il sorriso allucinato dell’eroina di turno.
Una performance impegnativa anche sul piano fisico, perché la Mungo non si limita a monologare da sola in scena: corre, salta, cade, si rialza, ruota su se stessa, si spoglia, si riveste e sfrutta ogni singolo elemento scenografico in almeno due modi diversi. A tratti sembra di assistere a un misto tra uno spettacolo di prosa e uno di danza.
Dove è possibile assistere a una messinscena di Tana? Per ora, purtroppo, da nessuna parte: dopo tre serate a Milano, due al Teatro Scala della Vita e una presso la Cascina Cuccagna – in quest’ultima occasione l’affluenza è stata tale che una parte del pubblico è stata costretta a sedersi per terra – lo spettacolo è alla ricerca di una nuova struttura disposta a ospitarlo. Se c’è all’ascolto qualche addetto ai lavori, si faccia avanti: non se ne pentirà.