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Tana, uno spettacolo in cerca di un palco

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A volte, quando devo scrivere un pezzo su uno spettacolo teatrale, mi chiedo perché perdo tempo a cercare le parole giuste quando esiste già il testo del comunicato stampa. Ad esempio, oggi voglio parlare di Tana, atto unico scritto da Valentina Gamna e portato in scena da Marta Mungo.

Potrei risparmiarmi un sacco di sforzi tagliando e incollando la sinossi riportata sulla presentazione:

Natascia è una donna trincerata nel suo salotto, la sua tana sicura e solitaria; l’unica ad essere ammessa è la colombina impomatata, la presentatrice imprigionata nella televisione. La colombina è la sua muta dama di compagnia, e come tale deve solo ascoltare, annuire, compiacere la fantasia perversa della propria padrona. 
Fino a che non dice una cosa vera, una sola, piccola, terribile… E allora il meccanismo si inceppa e tutto crolla, si frantuma in una verità banale e crudele: davanti al dolore autentico, l’atto più eroico che si possa compiere è stare. 
Stare nel dolore, fermarsi, accettare la propria debolezza, senza più cercare vie di fuga.

Dicevo, potrei limitarmi a questo, ma non sarebbe corretto. Perché sì, è vero che Tana parla di una donna non del tutto sana di mente che dialoga col televisore raccontando dei suoi quattro matrimoni e del rapporto difficile con il figlio. Ma è anche vero che il riassunto qui sopra, per quanto corretto, non rende l’onore che merita allo spettacolo.

Non dice, ad esempio, che Tana fa ridere. Benché la vicenda narrata abbia risvolti amari e forse addirittura tragici – anche se non è chiaro cosa sia reale e cosa frutto della fantasia di Natascia – la giovane autrice ha scelto la via della leggerezza, in una sorta di cabaret straniante, stralunato, beckettiano. Si ride spesso, quasi sempre a denti stretti.

Ma soprattutto il comunicato stampa omette di precisare che Tana è una notevole prova d’attrice. Marta Mungo, classe 1985, formatasi presso la Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi, è brava a lasciar filtrare dolorosi sottotesti attraverso il sorriso allucinato dell’eroina di turno.

Una performance impegnativa anche sul piano fisico, perché la Mungo non si limita a monologare da sola in scena: corre, salta, cade, si rialza, ruota su se stessa, si spoglia, si riveste e sfrutta ogni singolo elemento scenografico in almeno due modi diversi. A tratti sembra di assistere a un misto tra uno spettacolo di prosa e uno di danza.

Dove è possibile assistere a una messinscena di Tana? Per ora, purtroppo, da nessuna parte: dopo tre serate a Milano, due al Teatro Scala della Vita e una presso la Cascina Cuccagna – in quest’ultima occasione l’affluenza è stata tale che una parte del pubblico è stata costretta a sedersi per terra – lo spettacolo è alla ricerca di una nuova struttura disposta a ospitarlo. Se c’è all’ascolto qualche addetto ai lavori, si faccia avanti: non se ne pentirà.

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