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Sport italiano: dove vanno i soldi del Coni?

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Nella tempesta perfetta (mediatica) che sta investendo lo sport italiano 2014, tra il caso Schwazer e la condanna a 16 mesi di esclusione dalle attività sportive da parte della Fin nei confronti del presidente del Coni Giovanni Malagò, quello che emerge è una situazione difficile in cui i conti non tornano.

Attualmente lo sport italiano è costituito da una rete di federazioni che sopravvivono grazie al contributo del Coni di 408 milioni di euro (dati pubblici). Da queste cifre risulta la seguente spartizione: Calcio (68), Nuoto (10.5), Volley (9.6), Atletica (9.1), Sport Invernali (7.9), Ciclismo (7), Basket (6.7), Tennis (5.2), Scherma (5.1) e a seguire tutte le altre federazione con contributi sotto i 5 milioni.

Il contributo viene deciso sulla base di criteri “più o meno oggettivi” che stabiliscono l’attribuzione del contributo sulla “Rilevanza della disciplina e la Posizione competitiva”. Per dirla in parole semplici, è un mix tra i risultati ottenuti e l’importanza dello sport in oggetto.

Questo spiega perché uno sport relativamente di nicchia come la scherma (si parla di numero di tesserati) ma tradizionalmente serbatoio importante di medaglie, possa collocarsi al nono posto della classifica contributiva. Al tempo stesso, si può notare come l’atletica, dati gli scarsi risultati in tempi recenti, sia scesa al quarto posto a seguito del sorpasso di nuoto e pallavolo.

Il problema è che fin tanto che i contributi saranno erogati in base alle medaglie ricevute, le rispettive dirigenze federali persevereranno nella loro ossessione del metallo. Ma qual è il fine dello sport?

Perché lo stato eroga dei contributi alle federazioni; per divertirci a contare medaglie con il pallottoliere alle Olimpiadi, o perché vogliamo una nazione sana, il meno possibile sedentaria, con conseguente enorme risparmio dei costi del sistema sanitario?

E se la risposta è quest’ultima, come mai si insiste a premiare le federazioni che fanno più medaglie, invece di quelle che aumentano la base dei praticanti e che impiegano le loro risorse per arruolare nuovi sportivi, e in particolare i ragazzi delle scuole?

Lo sport italiano dovrebbe rispondere a questi interrogativi perché i successi sono solo conseguenza della bontà di un movimento. La creazione dei “mostri di successo” è soltanto uno specchietto per le allodole per far sprecare un po’ di inchiostro, o i tasti di tastiera di un computer, o far parlare i “tifosi della domenica”.

Immagine| mondoallarovescia.com

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