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Shadow of the Colossus, un luogo tra videogioco e arte

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In sella al suo cavallo, un uomo giunge in una terra remota, al confine del mondo, per deporre sul gelido altare di un santuario il corpo esanime dell’amata e gridare a una divinità sconosciuta il folle desiderio di riportarla in vita.

Una voce incorporea gli svela che per vedere esaudita la sua impudente richiesta, per compiere quel rito, dovrà annientare i sedici colossi che calcano il suolo di quella strana terra. Da questa premessa prende il via uno dei migliori titoli pubblicati per PS2, e uno dei più più atipici ma al contempo apprezzati videogiochi di sempre.

La meccanica di gioco è estremamente semplice: innalzando la spada verso il sole, un fascio di luce ci mostra la direzione in cui si trova il prossimo colosso. Individuatolo, dobbiamo trovare un modo di abbattere la sua titanica mole con i pochi elementi a nostra disposizione: una spada, un arco, l’inseparabile cavallo Agro e, soprattutto, l’ambiente circostante, in scontri che hanno natura più di enigma che di vera e propria azione. Oltre ai colossi non ci sono altri nemici da abbattere, né altri personaggi con cui interagire: siamo soli con Wanda in un mondo vasto e solitario.

Se Shadow of the Colossus si è guadagnato un posto tra le pietre miliari dei videogiochi non è però per l’aspetto prettamente ludico della questione. Intendiamoci: ogni puzzle ambientale proposto dallo scontro con il colosso di turno è al limite del geniale e quando pensiamo che ormai Ueda e soci abbiano giocato tutte le carte a loro disposizione per stupirci veniamo puntualmente contraddetti, ma è soprattutto per il suo afflato artistico, l’esperienza estetica, che il titolo riesce a fare centro e moltiplicare infinitamente nella mente del giocatore l’eco della sua esperienza virtuale.

Shadow of the Colossus vive di atmosfere, suggestioni, archetipi che presi uno ad uno potrebbero risultare infantili, ingenui, ma che tutti insieme hanno la forza dirompente dell’epica. Per prima cosa c’è la strana terra di confine che percorriamo in lungo e in largo durante la nostra quest: un mondo abbandonato pervaso di lirismo e silenzio, a metà strada tra l’immaginario di Miyazaki e quello del pittore romantico Friederich.

Solo nei momenti più simbolici la struggente colonna sonora di Kow Otani interviene a sottolineare le emozioni, innestandosi su un tappeto sonoro fatto unicamente di fruscii, vento soffiante, fragore di cascate, calpestio di zoccoli e amalgamandosi con maestria alle immagini sullo schermo.

Poi ci sono loro, i Colossi, enormi torri viventi che si stagliano contro il cielo, sulle quali dovremo inerpicarci per trovare un punto debole nella loro corazza di roccia, muschio e tenebra. Ogni giocatore finisce in qualche modo per avere un suo colosso preferito e parte del divertimento, della meraviglia, sta proprio nell’incontro e nella scoperta di queste creature: impossibile non provare un po’ di senso di colpa nell’uccidere questi bestioni straordinari e terribili. Senza volere rovinare la partita a nessuno, si può poi anticipare che il finale del gioco è memorabile: il giusto approdo di un’ incredibile avventura.

Un titolo perfetto quindi? La perfezione non è purtroppo cosa di questo mondo e anche questo capolavoro ha alcune pecche abbastanza vistose: la telecamera si dimostra un avversario temibile almeno quanto i colossi, rendendo complicati dei passaggi che chiaramente non lo vorrebbero essere, così come anche il sistema di controllo leggermente macchinoso che non regala mai la sensazione di avere il pieno e disinvolto controllo di Wanda come avviene ad esempio per Link nei giochi di Zelda o Drake in Uncharted (per citare due giochi in cui i protagonisti spendono molto tempo ad arrampicarsi ed esplorare).

Sono difetti marginali e sui quali vale comunque la pena di soprassedere per fare propria l’esperienza che è Shadow of the Colossus. La versione HD del titolo pubblicata lo scorso anno non presenta particolari aggiunte, escludendo ovviamente i trofei e uno speciale di una decina di minuti abbastanza interessante che non è presente sul blue ray ma è possibile scaricare dal PSN riscattando un codice incluso nella confezione; tuttavia l’upgrade cosmetico è realizzato ottimamente, con texture nitide e pulite e soprattutto un frame rate più solido di quello dell’originale, arricchendo ulteriormente l’esperienza ed esplorazione del mondo evocativo in cui ci possiamo divertire a perderci tra un colosso e l’altro. I fortunati possessori di un impianto dolby surround, potranno anche usufruire di una pista audio 5.1 di sicuro impatto.

Impossibile quindi non consigliare il titolo a chi non l’avesse mai giocato; chi invece fosse in possesso di una copia della versione PS2 prenda in considerazione il proprio amore per il gioco e la disponibilità del proprio portafoglio: va comunque ricordato che Shadow of the Colossus viene pubblicato insieme al suo prequel spirituale Ico, un titolo altrettanto poetico e godibile ma invecchiato meno bene e forse oggi meno appetibile di quello qui preso in considerazione.

Immagine | vividgamer.com

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