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Scissione PD: vediamo favorevoli e contrari

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@Partito Democratico

La direzione del Partito Democratico ha convocato l’Assemblea nazionale per domenica 19 febbraio, così da dare avvio al Congresso che deciderà il futuro del centro-sinistra italiano. Matteo Renzi rimane ancora alla guida del partito, ma sono in molti a credere che le sue dimissioni arriveranno proprio in occasione della fine dell’Assemblea. Durante il dibattito nel direttivo si è più volte parlato di un concreto rischio di scissione, scenario che l’ex-premier vuole scongiurare a tutti i costi. Come riportato dal Corriere, esistono undici differenti correnti e sottocorrenti all’interno solo della maggioranza renziana. Il numero sale oltre i quindici se si tiene conto anche dell’area minoritaria del partito. La fretta con cui il Congresso viene convocato è sintomo della una volontà diffusa di far cambiare rotta al partito in vista di probabili elezioni. Se le diverse parti in gioco non dovessero riuscire a convergere verso un’unica direzione condivisa, la scissione sarebbe a quel punto inevitabile. Vediamo una lista degli schieramenti principali che si apprestano a partecipare al Congresso, identificando scopi e portabandiera: in estrema sintesi, possiamo identificare, semplificando l’elenco del Fatto Quotidiano, due macro gruppi: i mediatori e gli scissionisti.

Scissione PD: chi sono i mediatori

Areadem: la corrente di Franceschini, assieme ovviamente a quella renziana, è la principale sostenitrice dell’attuale segretario. Di essa fa parte anche l’ex-Sindaco di Torino Piero Fassino e da sola racchiude il 20% dell’assemblea dei delegati. Uniti al 45% dei delegati renziani, è evidente come il Congresso sia fortemente sbilanciato verso l’attuale leader democratico ma avere la maggioranza risulta inutile se la minoranza si separa. Per questo in molti ritengono concrete le dimissioni di Renzi dalla segreteria: per scongiurare la scissione, l’ex-premier al Congresso dichiara di voler affrontare i propri detrattori come suoi pari e non come segretario. Una volta conclusa l’assemblea dei delegati, sarà pronto a sfidarli apertamente alle primarie immediatamente successive. Forte dei suoi numeri e del suo ancora largo consenso, Renzi punta a battere sul campo i dissidenti sostenuto dalla legittimazione data dagli iscritti. Ma non è detto che gli scissionisti siano disposti ad accettare le condizioni del gioco.

I Giovani Turchi: Andrea Orlando, Ministro della Giustizia con Renzi e poi riconfermato con Gentiloni, e Matteo Orfini, attuale Presidente del PD, sono i capifila della corrente “giovane”. Sostenitori di Cuperlo per le primarie del 2013, hanno in seguito aderito alla linea di Renzi impegnandosi in prima linea nell’attuazione del suo programma di Governo. Ma, in vista del prossimo Congresso, si sono manifestate le prime divisioni: Orfini rimane fedele alla linea tracciata da Renzi, mentre Orlando mette in discussione la fretta con cui è stato chiamato il Congresso. Secondo Orlando, il partito avrebbe dovuto riflettere sulla propria posizione politica e presentare un nuovo programma sulla base dell’esperienza di governo prima di esporsi al pericolo congressuale. Sulle pagine del Corriere, Renzi ha effettivamente aperto la possibilità di una preventiva conferenza programmatica, ma la sua volontà rimane quella di chiudere al più presto le contese interne attraverso il confronto al Congresso.

Sinistra è cambiamento: corrente che trova nel fondatore Maurizio Martina il proprio portavoce, dopo gli eventi della direzione si è allineata con la linea già espressa dai Giovani Turchi di Orlando. In particolare, Martina punta sopratutto alla creazione di un ampio asse progressista, intercettando così anche l’approvazione dei nuovi movimenti nascenti come quello di Pisapia. Secondo il suo pensiero, il PD non sarebbe più quindi in grado di correre da solo, ma avrebbe bisogno dell’appoggio degli schieramenti moderati a lui più vicini, nati magari proprio da piccole scissioni locali.

Gianni Cuperlo: malgrado le aspre divergenze con Renzi, è uno degli oppositori più convinti di un’eventuale scissione. Pur consapevole delle distanze con l’attuale segreteria, Cuperlo cerca di promuovere il dialogo interno convinto che mantenere l’unità sia l’unica via percorribile per rimanere incisivi nel palcoscenico politico odierno. Rimane tuttavia necessario trovare una nuova forte leadership per guidare un partito così diviso al suo interno.

Retedem: la corrente minoritaria nata sulla scia delle posizioni di Pippo Civati, ormai fuori dal partito. Il loro principale portavoce è Sergio Lo Giudice e da soli contano poco meno del 10% dei seggi del Congresso. Anche loro sposano la linea definita da Orlando: prima di tutto è necessario presentare un nuovo programma con una chiara direzione politica, per poi sottoporlo al Congresso come possibile soluzione unitaria. Presentarsi di fronte ai delegati senza una proposta concreta è un ulteriore rischio che può portare alla scissione da parte degli schieramenti più critici sull’operato della maggioranza attuale.

Chi sono gli scissionisti

I bersaniani: altra corrente minoritaria che conta meno del 10% dei rappresentati delegati. Come suggerisce il nome, sono coloro che sostengono Bersani e i più duri nei confronti della linea imposta da Renzi. L’ex-leader democratico non ha usato mezze parole nel descrivere l’attuale situazione del PD: secondo Bersani, la scissione sarebbe già di fatto avvenuta all’interno degli iscritti con Renzi che si è rifiutato di confrontarsi con chi non condivideva le sue posizioni. Le dichiarazioni e i duri attacchi all’indirizzo del segretario non fanno ben sperare che il Congresso possa essere l’occasione per un riavvicinamento. Fatte le dovute valutazioni, è improbabile che i bersaniani promuovano per primi la scissione e difficilmente si separeranno dal partito in solitaria. Sarà importante capire quali saranno gli obiettivi degli altri scissionisti.

Massimo D’Alema: nel corso di questi mesi, D’Alema si è scostato sempre di più dalle posizioni del proprio segretario, fino a diventare uno dei leader della campagna referendaria per il “No” in aperto contrasto con Renzi. Anche se privo di una propria corrente interna, D’Alema ha cominciato a muoversi da dietro le quinte con telefonate e accordi di massima con Bersani, Rossi ed Emiliano. Con ogni probabilità, in puro stile dalemiano, non sarà lui il primo a lanciare la proposta di scissione, ma molto probabilmente lavorerà per traghettare più delegati possibili dalla sua parte. Dopo una leadership di rottura come quella di Renzi, riprendere in mano il partito e orientarlo nuovamente sui valori più tradizionali della sinistra appare un’impresa impossibile. Per questo promuovere la scissione e creare una nuova realtà politica sembra essere la via più percorribile per mantenere credibilità e non rischiare nuove future fratture interne.

L’asse Rossi-Emiliano-Speranza: per loro la scissione è già avvenuta. Lo scorso 16 febbraio il Governatore toscano, quello pugliese e l’ex-capogruppo PD della Camera, si sono riuniti in via Barberini a Roma per creare, di fatto, un nuovo movimento. Ancora non vi è nessun nome, logo o leader definito, ma è stata manifestata la volontà di proporre un’alternativa valida al centro-sinistra di Matteo Renzi. Per il momento D’Alema e Bersani rimangono a guardare in attesa del Congresso, ma è legittimo aspettarsi che gli altri scissionisti ben presto si uniscano a questa nuova “costituente di centro-sinistra”, per utilizzare i termini dello stesso D’Alema. Nella loro riunione, i tre hanno preparato un documento che verrà letto in sede di Congresso nel quale si accusa Renzi di aver trasformato il Partito Democratico in un partito personale e leaderistico. Rossi, Emiliano e Speranza hanno chiamato a raccolta tutte le forze di coalizione interessate a partecipare alla costituente del nuovo movimento. L’invito vuole includere anche Sinistra Italiana e Pisapia. Convinto della sordità dell’ex-premier nei confronti degli scissionisti, Emiliano ha però voluto lanciare un’ultima proposta a Renzi per scongiurare la scissione. Sul suo profilo Facebook il Governatore della Puglia ha infatti scritto:

Visto che Renzi non chiama nessuno per evitare la scissione adesso provo a chiamarlo io. Spero mi risponda e che si possa concordare in amicizia una soluzione che stia bene a tutti. Gli dirò che con la conferenza programmatica e l’impegno a fare insieme la campagna elettorale delle amministrative si possono fare le primarie in armonia a fine settembre dando tempo a tutti di girare l’Italia tra i circoli Pd affamati di politica. Se Renzi mi dirà sì io non parteciperò ad alcuna operazione di scissione.

Una mossa con cui Emiliano non voleva dare alibi a Renzi, scaricando buona parte della responsabilità della scissione anche su di lui. Il vero colpo di scena si è avuto però intorno alle 14, quando Emiliano ha scritto

To be continued…

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