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Un posto al sole: 5 ipotesi di un successo

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Diciotto anni di attività. Media di spettatori – dati Auditel – due milioni e mezzo. È solo qualche numero della soap più longeva della tv italiana. Prodotto italianissimo, anche se il format è l’australiano Neighbours, dove recitarono a suo tempo anche Kylie Minogue e Natalie Imbruglia.

Provo ad avanzare qualche ipotesi sulla costante persistenza di questo programma.

Un posto al sole: 5 ipotesi di un successo

1) è vario. C’è la classica parte da soap, cuori, amori e dolori, quella alla Beautiful per capirci. Ma c’è anche la commedia, ben oliata dalla napoletanità del luogo dell’azione, coi riferimenti alla sceneggiata, alle macchiette, alla teatralità ecc. E c’è il noir, anche qui ahimè aiutato dalla locazione partenopea: rapimenti, processi, sparatorie. Insomma, quel po’ di camorra quanto basta.

2) è sociale. Nei suoi quasi 20 anni di vita non c’è praticamente tematica da educazione civica che Un Posto Al Sole non abbia affrontato, approfittando delle trame rosa per far digerire allo spettatore sostanziosi bocconi a base di diritti gay, ambientalismo, affido e adozioni, ragazzi di strada e quant’altro.

3) è italian-unitario. Nonostante il programma sia fatto a Napoli, la maggior parte degli spettatori si registra al Nord (!): elemento che, assieme all’attenzione al civismo, contribuisce a confezionare un prodotto nazional-popolare nel senso migliore della parola, cioè di tensione ad una comune matrice culturale. Certo, con qualche deriva retorica: ma in tempi di sfilacciamento cronico della coesione sociale non è così grave.

4) è tecnologico. Pare che sia stato il primo programma Rai ad avere un sito web di riferimento, fin dalla terza stagione, e tuttora seguitissimo. Non male, quando di solito associamo le soap, per definizione, al vecchiume nefando, sia culturale che anagrafico.

5) è divertente. Un po’ di commedia ”napulitana”. Tanti personaggi. Molta autoironia. Puntate speciali parodistiche, musicali o citazioniste. Una discreta originalità di soggetto. Ecco perché piace abbastanza a certo pubblico giovane, che lo usa per divertirsi anche di più.

Insomma, un prodotto medio, robusto, adatto a varie fasce d’età e di gusto, anche a chi storce indignato il naso di fronte alla presunta ”trivialità” delle ”grandi narrazioni popolari” (anzi, c’hanno fatto pure un libro). Mi ci metto anch’io, anzi mettevo: ora lo guardo spesso, all’ora di cena è molto più salutare del TG.

Immagine / Gennaro Cicalese

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