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Mordecai Richler: 5 modi per parlare del suo ultimo libro senza averlo letto

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Potrebbe succedere a ognuno di voi, specialmente se frequentate i luoghi “in” dove è possibile incontrare “intellettuali”, che vi venga chiesto se avete letto l’ultimo libro di Mordecai Richler. Attualmente il libro sarebbe Joshua allora e oggi (Adelphi 2013).

Ma non temete, molti si riferiranno al più famoso La versione di Barney; le trasposizioni cinematografiche permettono di cominciare a leggere un libro e poi scoprirne il seguito su pellicola, una specie di letteratura a basso consumo di tempo. Se però si dovesse far riferimento al Joshua in questione, potrebbe tornare utile avere qualche informazione in merito.

[quote align=”center” color=”#999999″]Ci sono cinque modi per capire se chi pone la domanda ha letto il libro o si è limitato alle alette interne o alla quarta di copertina (nell’attuale edizione la quarta di copertina non aiuta, riporta solo il codice ISBN, sfortunati).[/quote]

1. Richler e la Shoah

Se chi domanda tira in mezzo, cita o fa riferimento alla Shoah o alla soluzione finale, probabilmente si è limitato a intuire che “Mordecai” non è un nome tipicamente cristiano–cattolico. Questo “Mordecai”, però, ha un approccio originale e pragmatico alla questione degli ebrei:

“Carte di credito con tatuaggio” – disse Joshua con un largo sorriso.
“Scusi?”.
“Per come la vedo io, il grosso problema delle carte di credito è che la gente le perde, o gliele rubano. Pensi a quanto si potrebbe risparmiare tatuando il numero della carta su un braccio del cliente” […]. “Naturalmente”, continuò Joshua incoraggiato, “è un’idea che avrebbe bisogno di essere sperimentata. Penso che la Germania sarebbe il terreno ideale. Avete già in abbondanza i tecnici che vi servono” (pp. 46–47).

2. Richler e gli ebrei

Potrebbe darsi che chi vi disturba abbia sfogliato il libro. Potrebbe obiettare che Richler era ebreo ma non era ben visto dai suoi correligionari. Anzi, che proprio da questi ultimi veniva accusato di mettere in cattiva luce gli ebrei. Nonostante ciò, Richler rimane un ebreo di razza (perdonate l’infelice formula retorica). Dimostra tutta la sua saggezza e il suo sarcasmo nei confronti degli accadimenti della vita, dai più tragici ai più faceti, nei dialoghi tra il protagonista e il padre.

“Allora, sai che giorni sono questi?” [Si fa riferimento ai dieci Giorni Penitenziali].
“Freddi”.
“No. Questo lo sanno tutti. Ma se sei ebreo è diverso”.
“Più freddi” (pg. 91).

3. Fede

Se l’intellettuale allo spritz incalzasse con le domande inerenti alla fede di Richler o al suo rapporto con gli altri autori della letteratura ebraica come Malamud o Englander, ricordategli che per il nostro vi è differenza tra religione ed ethos. Richler è un autore che riesce a far dire ai suoi personaggi:

“Tu sei un giudeo, Irving. Io sono un ebreo” (pg. 144).

Formula in cui si condensa quanto possa passare tra l’essere il frutto di una tradizione di comportamenti e modi di vivere e quello che rappresenta la semplicistica appartenenza, per contingenza genealogica, a una religione.

4. Sono solo parole

Se vi dovesse portare sul campo del valore letterario potreste sempre sottolineargli che dai libri, a meno che non siano manuali di istruzioni, non si dovrebbero pretendere verità, ma solo allegorie di quella che è la vita vera.

Frasi come “Noi inventiamo, non diciamo bugie” (pg. 307) ti lasciano la libertà di sperare di poter incontrare nella vita vera qualcuno come i personaggi di Richler. Non perché siano giusti o migliori di altri, ma perché sono più divertenti e sinceri.

E Richler sembra saperlo. Sa che quando ti svegli da un’ubriacatura tale che speri ti sia venuto l’alzheimer perché non hai la minima idea né di dove hai parcheggiato l’automobile né della quantità di donne sposate alle quali hai chiesto di scappare via con te per una vita sfrenata di eccessi e concupiscenza, potrai sempre rispondere, a chi ti dovesse muovere delle accuse, che non lo ricordi e che tutto sommato erano solo parole.

Al limite ricordate al questionante che non è educato “fare a chi ce l’ha più grosso”, anche in letteratura, specialmente se si ha a che fare con qualcuno sprovvisto di prepuzio.

5. Divertimento, svago, intrattenimento

È quello che manca all’intellettuale che vi infastidisce, la leggerezza di prendere un libro, leggerlo e farsi una risata al momento giusto, anche tirando in ballo la serietà dei rabbini.

“I rabbini, che un tempo ti tiravano le orecchie se ti sedevi a tavola senza prima aver pronunciato le benedizioni prescritte, adesso scrivevano libri in cui raccontavano tutto quello che avevi sempre voluto sapere sul cunnilingio, e assicuravano ai fedeli che, dopo aver consultato Rabbi Akiva e aver preso nella dovuta considerazione Maimonide, ritenevano che non ci fosse nessuna violazione delle regole alimentari nel mangiare la propria moglie, anche se non aveva lo zoccolo fesso” (pg. 405).

Se Richler avesse scritto anche di come tener lontani gli intellettuali avrebbe scritto un libro perfetto. Purtroppo si è limitato a parlare degli editori in altre pagine (Un mondo di cospiratori, Adelphi 2007, pg. 108), dicendo: “Se non ce la fai con la vita, scrivine; se non sai scrivere, fa’ l’editore”.

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