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Mondiali di calcio o sogni di una notte di mezza estate

Mondiali di calcio o sogni di una notte di mezza estate
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Come e più di Capodanno, l’arrivo dei Mondiali di calcio è, un po’ per tutti, tempo di bilanci. Quattro anni fa avevamo ancora il piercing al sopracciglio (adesso è rimasto solo a Riccardo Sinigallia). Otto anni fa non ero ancora uscita dal tunnel dei pantaloni a zampa. Tra quattro anni sarò ancora precario? E via discorrendo.

Insomma: ci risiamo. In tv, su internet, sulle vetrine di Euronics chiunque contribuisce a ricordarci che i Mondiali sono vicini, vicinissimi, praticamente già iniziati. Sembra ieri che l’italiano medio si ritrovava a navigare nottetempo su Google per capire dove cazzo si trovasse la Slovacchia, che ci aveva sbattuto fuori dal girone. Sembra ieri che l’italiana media provava a sembrare sexy come Shakira ballando il Waka-Waka con risultati piuttosto deludenti.

Travolta dal vortice del tempo che passa, mi sono resa conto di aver assistito a ben sette Mondiali. Conservo dei ricordi solo a partire da Italia ’90 anche perché Notti magiche è stato l’inno indiscusso dei Giochi della gioventù nella mia scuola elementare fino al 1994.

Ricordo soprattutto un nome: Totò Schillaci. Durante quei mondiali, e per molto tempo ancora, Schillaci era diventato l’idolo che tutti i ragazzini celebravano quando facevano gol per strada sfondando un cancello. Gooool di Schillaciiiii! E poi si inginocchiavano davanti alla porta sull’asfalto rovente di agosto.

Ricordo pure le lacrime di mio fratello, dopo la semifinale contro l’Argentina. Sì, l’ho preso in giro, che stronza. Ma qualche adulto mi ha rimproverato. Sarà stato qualcuno che avrebbe voluto avere 12 anni quella sera, per poter piangere insieme a lui.

Forse piccola parte di quella delusione l’ho provata quattro anni dopo, quando Baggio ha sbagliato il rigore nella finale contro il Brasile. È rimasto immobile, con le mani sui fianchi e ha chinato lo sguardo. Sembrava quasi che se lo aspettasse, come se quella scena l’avesse imparata a memoria dalle proprie paure.

Invece Gigi Di Biagio, vittima della stessa sorte, nel ’98 si butta disperato a terra mentre i francesi festeggiano la raggiunta semifinale. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, certo, ma è per questi particolari che si perde tre volte un Mondiale.

Saltando a piè pari il 2002 (non pervenuto nella mia memoria, nonostante gli sforzi), dei Mondiali del 2006 ho tre ricordi precisi. L’esultanza di Grosso durante la semifinale contro la Germania, che incredulo scuoteva la testa. Le zanzare. Ma soprattutto le passeggiate per Milano a partita iniziata, quando nel mio cronico ritardo raggiungevo i raduni tra gli amici.

Avete mai provato a camminare in una città deserta quando gioca la nazionale? Fatelo. E poi anche a voi verrà voglia di Mondiali.

Immagine| storiedicalcio.altervista.org/

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