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Miguel Angel Martin, scandaloso ma non scandalistico

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Solo a Lucca, finora, mi è capitato di vedere una chiesa adibita a mostra fumettistica. La cosiddetta “arte sequenziale” non è estranea al linguaggio liturgico: pensate alle raffigurazioni della via Crucis. Ogni stazione è una vignetta a sé, legata a tutte le altre attraverso un racconto, ma allo stesso tempo è un quadro, e in quanto tale è capace di comunicare un messaggio o un’emozione in modo autonomo.

A Lucca, durante la famosa fiera di Comics & Games, una serie di tavole realizzate dall’artista americano Frank Espinosa sono state esposte nella chiesa di S. Maria dei Servi. Ciascuna di quelle tavole era un quadro, anzi, ciascuna delle vignette era un dipinto a sé. Ma non voglio parlarvi di Espinosa.

Nella stessa chiesa, quel giorno, sarebbe intervenuto un altro fumettista, dallo stile molto diverso rispetto a Espinosa, ma dal nome quantomeno singolare, trovandoci in una chiesa (e l’intervistatore che dirigeva l’incontro non ha mancato di farlo notare). Parlo di Miguel Angel Martin. Michelangelo, insomma. Lo stile di questo spagnolo, tuttavia, non ha nulla a che fare con l’affrescatore della Cappella Sistina. Sono accomunati solo dalla censura, in un certo senso. Come è noto, Michelangelo era già morto quando i suoi personaggi ignudi furono pudicamente ricoperti da vesti e braghe, in seguito rimosse (almeno in parte).

Miguel Angel Martin, invece, ha fatto qualcosa di più – relativamente – scandaloso: un fumetto chiamato Psychopathia Sexualis, titolo che riprende un famoso (famigerato?) testo di un certo Krafft-Ebing, uno dei primi a parlare di patologie sessuali. Non è l’unico titolo provocatorio di Martin. Altri esempi? Bitch, Snuff e Anal Core. Titoli per nulla fuorvianti.

Le immagini di questi fumetti sono abbastanza forti, o lo sarebbero se non fosse per lo stile di Martin, da molti definito freddo a causa dell’estrema asciuttezza e sinteticità. Il suo tratto personale risulta molto credibile, nonostante sia agli antipodi del realistico o dell’espressionistico, così come non ha nulla a che fare con il cartoon o lo stile disneyano; cosa che gli consente di raffigurare scene cruente o scabrose (o entrambe le cose) senza indulgere nell’autocompiacimento.

Oltretutto la scrittura evita qualsiasi giudizio o presa di posizione sui personaggi, presentandoli dal loro punto di vista. Insomma, potremmo dire che c’è un po’ di neorealismo cinematografico e un po’ di verismo verghiano, anche se il suo maggiore riferimento cinematografico è il Sam Peckinpah de Il mucchio selvaggio.

Gli altri titoli di Martin sembrano più “rassicuranti”: Brian the Brain, Playlove, Neurohabitat. L’analisi lucida della realtà contemporanea attraverso metafore fantascientifiche ha tuttavia lo stesso effetto dei titoli più controversi: un violento pugno nello stomaco.

Ebbene a Lucca entro in chiesa e vedo Miguel Angel che, con disinvoltura, disegna il suo personaggio usando un semplice, apparentemente “piatto” pennarello. Nessuno schizzo a matita, nessuna incertezza. Sotto i nostri occhi (quelli di una telecamera) traccia i suoi personaggi sulla carta, personaggi impressi nella memoria della mano, riuscendo a conferirgli vita con gesti precisi, secchi, con linee sottili, non eccessivamente espressive ma nel complesso vibranti. Tra una linea e l’altra, risponde con leggerezza all’intervistatore. Con assoluta ingenuità, parlando delle sue fonti d’ispirazione cita così, en passant, la pornografia.

A vederlo, Martin sembra un paffuto Buddha con i capelli bianchi, e ciò è dovuto alla sua forte carica di serenità; emana appagamento, autorealizzazione. Non si parla di una superstar o di uno che fa milioni col suo lavoro. Semplicemente fa un lavoro che ama, che è la sua passione. Le sue storie sono violente, disturbanti, ma lui non è né un violento né un sociopatico. Piuttosto, è fortemente empatico, nonostante lo stile freddo.

Immaginate la scena: un simpatico Buddha che in una chiesa, adibita a mostra fumettistica, spiega, innocente, di ispirarsi spesso alla pornografia, oltreché di esserne un assiduo fruitore. Un’immagine bizzarra, ma per nulla scandalosa (o scandalistica). Questa è la specificità del fumetto, oggi: proprio in virtù della sua marginalità rispetto agli altri media, è ancora in grado di proporre temi forti senza fare rumore. Alzando la voce in silenzio. Addirittura, tra le mura di una chiesa, ma senza farne una litania, una liturgia melensa priva di spessore, come se ne vedono tante altrove.

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