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La Medea di Seneca di Maria Paiato

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La passione ridà voce alla Medea di Seneca di Maria Paiato.

[quote align=”center” color=”#999999″]“Date la morte alla nuova sposa di Giasone, al suocero, a tutta la famiglia regale, ma a me date qualcosa di peggio, che io possa augurarlo al mio sposo”[/quote]

Dopo essere stata abbandonata dal marito Giasone per la giovane Creusa, figlia del re di Corinto, Medea invoca le Furie augurandosi terribili sciagure che travolgeranno Giasone e lei stessa.
L’arte drammatica di Seneca, che attraverso la parola riusciva a rendere il dolore spettacolare (unico filo conduttore della tragedia), viene attualizzata dal regista Pierpaolo Sepe con le musiche e gli effetti di luce e interpretata dall’attrice Maria Paiato.

Una Paiato bravissima, elegante, superba anche nell’ira che viene circondata dal “nuovo mondo”: una nutrice sbarazzina in minigonna (Giulia Galiani), il re Creonte di Corinto (Orlando Cinque), sceriffo da telefilm americani che fa volteggiare il suo cappello in segno di potere, da un Giasone (Max Malatesta) in veste di vigliacco e da un coro che viene sostituito da un folletto dark (Diego Sepe) con croce e rosari fucsia.


Una Medea profondamente diversa da quella di Euripide. Essa non è vinta dal male ma il suo ingegnum, la sua intelligenza, è addestrata nel male; Medea non è una barbara, sottomessa, vittima di Giasone (come accadeva alle donne del V secolo), ma è una donna regale in cui il furor vince su tutto.

L’amore si trasforma in passione distruttrice:

[quote align=”center” color=”#999999″]“Sconvolta, folle, il furore mi trascina, non so dove”[/quote]

Riprendendo la filosofia stoica la Medea di Seneca trasforma la tragedia di Euripide in una rappresentazione infernale perché il teatro deve insegnare il malum.

Medea diventa mostrum moralis perché è stata abbandonata dalla ratio ma è umana, cosciente, non è una pazza. Lo spettatore deve potersi immedesimare nella sua atroce lucidità. Il dolore l’ha sconvolta facendo prevalere su di lei la “ragione delle passioni”.

Il teatro ritorna a essere kàtarsi, raggiungimento dell’atarassia attraverso la visione del dramma, anche con il regista Sepe. L’inferno della psiche in cui è sprofondata la protagonista Medea viene reso dalla forza dei monologhi, in cui l’azione diventa evocazione dei delitti commessi:

[quote align=”center” color=”#999999″]“Due soltanto ne ho partorito. Bastano per mio padre e mio fratello”[/quote]

Furie immaginarie armano la mano di Medea per chiedere vendetta del fratello ucciso.

Medea si prepara e ci prepara, fin dall’inizio del dramma, al “delitto supremo” che servirà a restituirle la verginità che Giasone le ha rubato. La sua non è solo una vendetta, è purificazione dei mali che ha commesso per amore, emblema di una umanità emarginata, sola, abbandonata anche dalla ragione divina.

“La sua furiosa ira deflagra, le fondamenta collassano e ciò che si mostra con mostruosa vividezza è la radice oscura di una colpa tanto universale da non avere più colpevoli.”

Lo spettacolo prodotto dalla Fondazione Salerno Contemporanea sarà in scena al Teatro Eliseo fino al 17 Aprile 2014.

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