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Mappatura non corretta dei cinema d’essai a Roma per l'(im)perfetto cinefilo

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@cattaling

L’iconografia classica li dipinge così: giacca di velluto, camicia di flanella, capelli arruffati e spesse lenti da vista. È l’immagine del fruitore del cinema d’essai: colui che prova quell'(in)sano piacere di mettersi in ginocchio sui ceci per godersi La corazzata Potemkin, si trastulla discettando sulla dicotomia Charlie Chaplin vs Buster Keaton, vive per il dibattito post proiezione, citazionista indefesso: saccheggia pillole del McLuhan pensiero da Wikiquote, spesso confondendo ogni sua “topica in utopica” (vedi cameo dello stesso McLuhan in Io e Annie di Woody Allen).

Pensavamo fosse così, lo spettatore fenotipo da cinema impegnato, reclinato su scomode poltrone di legno, in sale polverose una volta anche fumose. Ma non lo è. Lo dimostra la vitalità di quel vasto circuito di sale cinematografiche indipendenti non mainstream – che definiremo generalmente d’essai – così come emerge da un veloce e non onnicomprensivo giro d’orizzonte sulla realtà romana, una mappatura non corretta dei cinema d’essai, insieme a due chiacchiere fatte con Patrizia Salvatori dell’Alphaville Cineclub e Armando Leone del filmstudio.

Pur tra le mille difficoltà che vive il settore – in dieci anni, dal 2001 al 2011, hanno abbassato la saracinesca 761 sale portando quelle funzionanti a circa 2.000 su tutto il territorio nazionale – il segmento d’essai mantiene un suo rigore, un suo seguito, un suo affezionato pubblico.

In rigoroso ordine confusionario, partiamo dall‘Azzurro Scipioni, lì “Dove il cinema è arte”, come si legge sull’insegna all’ingresso. Perché quel nome? “Azzurro per via del film Il pianeta azzurro e Scipioni perché si trova in via degli Scipioni”, racconta il fondatore-nonché-intellettuale-poeta-regista-attore-scrittore-produttore-ecc., Silvano Agosti, 75 enne bresciano, personaggio burbero quanto unico: da qualche anno attende una risposta dall’Unesco alla sua formale richiesta di “proclamare l’essere umano patrimonio dell’umanità” (?). Da oltre trent’anni in Prati, l’Azzurro Scipioni ha due sale arredate in stile museo del cinema: in una proietta i “rarissimi” capolavori del presente, nell’altra a loop 330 (trecentotrenta) capolavori, “sempre gli stessi – dice Agosti – perché ci vogliono sette anni per vederli”. Tra questi: Fellini, Bergman, Bresson, Visconti, Eisenstein, Bunuel, Chaplin e Tarkowsky.

Per il Nuovo Cinema Aquila il discorso è leggermente diverso: oltre a una programmazione ricercata fatta di produzioni indipendenti, e spesso intrisa di iniziative come rassegne e festival (dal 16 al 23 marzo si terrà la 13° edizione del Rome Independent Film Festival), ma allo stesso tempo contemperata dalla proiezioni di blockbuster incassa soldi, l’esperienza visiva in questa splendida struttura del Pigneto si arricchisce di un portato sociale. L’edificio fu sequestrato nel ’98 ad esponenti della camorra e la banda della Magliana, nel 2004 il comune di Roma lo affida alla cooperativa sociale “Il Sol.Co.”. E la (enorme) differenza è tutta qui: al Pigneto il Nuovo Cinema Aquila non è solo propagatore di cinema di qualità ma luogo di aggregazione sociale, intimamente legato al quartiere, e presidio di legalità.

A pochi metri da via L’Aquila, sempre in quel caotico laboratorio qual è il Pigneto, c’è il cinema-bistrot Kino, attivo dal febbraio del 2011. Badate bene: “Il Kino è un cinema, non un cineclub”, come recita il primo verso del loro manifesto, e nasce come esperienza collettiva. Dalle ceneri del cineclub Grauco, in 60 (“come dei pazzi”) si sono messi insieme per riportare alla vita questa vecchia sala, offrendo visioni molto ricercate – la caratura è quella da cinema off – insieme ad alimenti biologici, slow food, vini biodinamici. Da qui il suo essere cinema bistrot. Ma Il Kino è soprattutto per una larga comunità (con una modalità di finanziamento in stile fundraising, nonché spazio per il coworking) un luogo di incontro, un certo modo di vivere e viversi il cinema, come se fosse una totalizzante esperienza collettiva. Bella e ben fatta la loro rivista on line The Kino Review.

Trasferiamoci adesso a Trastevere dove a novembre del 2012 ha riaperto le porte il Cinema America, tecnicamente occupato dopo circa quindici anni di totale abbandono. Le stigmate sono quelle classiche, sulla falsariga dell’esperienza del Teatro Valle: gli occupanti vogliono fare del Cinema America un “laboratorio polivalente” e “anche un baluardo delle lotte dei cittadini in difesa del territorio”. La struttura è splendida. Inaugurata nel 1956, come raccontano gli stessi occupanti, la sala era tra le poche a Roma ad avere il tetto apribile. Tante le attività, oltre le proiezioni, dai laboratori teatrali alle partite della Roma, così come tante le personalità che in questi circa 15 mesi sono passate di qui (Lucchetti, Verdone, Sorrentino, Moretti e altri). La programmazione è intensa, con monografiche mensili. Ma attenzione: per questo mese le attività sono spese per attività di manutenzione, decisamente necessarie a guardare le foto …

Da segnalare poi il Piccolo Apollo all’Esquilino, in attesa che si recuperi la splendida struttura del vecchio cinema Apollo. Anche qui diverse le offerte in programma ma, per quanto riguarda il cinema, in questa minuscola sala si sono specializzati in proiezione di documentari, facendone “la casa del documentario”. Una cifra stilistica unica nel panorama romano. In questi giorni, in collaborazione con il Premio Solinas, si sta tenendo una rassegna di documentari che nasce dalla collaborazione di queste due uniche realtà, attente come poche al cinema del reale.

Finiamo con due esperienze, forse le più strutturate del panorama romano d’essai: il filmstudio e l’Alphaville cineclub. Attivo a Trastevere dal ’67 (tranne una piccola parentesi rappresentata dallo sfratto avvenuto nell’85) il filmstudio è il primo centro a Roma per la promozione del cinema di qualità, non per altro si sta girando un documentario sulla sua storia. In questa sala, che si trova in una traversa di via della Lungara (Via degli Orti d’Alibert), Nanni Moretti proiettò il suo esordio “Io sono un autarchico”. Ma il senso di questa esperienza lo spiega a Le Nius chi rappresenta la storia e l’anima di questa sala trasteverina, Armando Leone. “La nostra programmazione, come dimostra la nostra storia, ha un filo conduttore: una pedagogia di fondo che si tiene su di un certo rigore, siamo spartani e in questo preserviamo la nostra dignità”, spiega Leone raccontandoci di un incontro, fatto la scorsa settimana: “è passato di qui Ettore Scola qualche giorno fa e mi ha detto: ‘Armando, il vostro è un incessante lavoro di formazione e informazione”. Eppure non si lamenta Leone, anche a fronte di strutture che fanno “un lavoro apprezzabile come la Casa del Cinema ma che vivono con un contributo annuale di oltre 100 mila euro …”, troppo geloso com’è del rigore e della dignità della sua sala: “Ho scoperto, senza l’aiuto di nessuno, decine e decine di autori – mi hanno raccontato recentemente, non lo ricordavo, che anche l’esordio di Daniele Lucchetti è legato al filmstudio – senza l’aiuto di nessuno. Ora la flessione in sala è a tutti i livelli, compreso il nostro, ma a noi interessa un pubblico di qualità, piccoli opinion leader”. Ed è questo il filmstudio, “un’esperienza fatta di condivisione, scambio di idee, una certa intimità che rifugge dal conformismo. Un insieme di fattori che ci fanno dire come lo spettatore che passa di qui è di ‘razza umana’ contro la disumanizzazione imperante. Da noi la visione è tutt’altra cosa”. Ma ci sono solo vecchie cariatidi o qualche giovane si vede? “Vengono in tanti, sono curiosi, interessati e intellettualmente vivaci. Mi hanno chiesto di Lubitsch (è in proiezione ‘To be or not to be’, ndr) e ne abbiamo parlato. È bello pensare che, senza paura, siano alla ricerca di qualcosa di nuovo riscoprendo il vecchio”.

Chiudiamo, last but not least, tornando al Pigneto, esattamente in via del Pigneto, per parlare con Patrizia Salvatori dell’Alphaville Cineclub. Una sala che deve il suo nome ad al film di Godard l”Agente Lemmy Caution: missione Alphaville’ (’61) dove il protagonista, in una città di un altro pianeta dal nome Alphaville, ha il compito di riportare i sentimenti in una società eterodiretta dai computer. Un nome, un film, che da circa 13 anni è il manifesto programmatico di questa piccola e graziosa sala al Pigneto. “A dispetto della sottocultura che imperversa in Italia noi siamo molto frequentati”, dice a Le Nius Patrizia Salvatori, responsabile del cineclub e personaggio assolutamente unico, iperattivo (basta guardare il programma del Cineclub) e dalla spaventosa cultura cinematografica. “Certo abbiamo avuto momenti più fecondi di questo: da due anni i bandi pubblici, che noi vincevamo, sia detto, per merito e quindi anche quando governava la destra, sono bloccati. Da questo punto di vista la situazione è drammatica, specie per un’esperienza unica come la nostra”. Ma la donna di certo non si piega e nel cassetto ha tanti altri progetti. “Ho una proposta pronta: l’apertura qui al Pigneto di una mediateca del neorealismo italiano dal nome ‘Nore’. La voglio qui dove capolavori del nostro neorealismo, come ‘Roma città aperta’, ‘Bellissima’ e poi ‘Accattone’, sono stati girati”. Ma al momento è tutto fermo. “Sono due anni che combatto – racconta Salvatori – ma al momento senza risposta. E pensare che a Parigi in ogni arrondissement c’è una mediateca: lì sì che preservano e coltivano la memoria”. Intanto si va avanti, anche senza le minime risorse pubbliche, grazie all’aiuto del pubblico. “Noi ci sosteniamo con le entrate dei nostri 15 mila associati e con la mini arena Pigneto che apriamo d’estate. Numeri e presenze che dimostrano come ci sia ancora sete di un certo cinema di qualità. Basterebbe assumere il fatto che c’è tanta materia per poter lavorare nella memoria e nella tradizione cinematografica. Perché è vero che tutto è cambiato – chiude sul profetico Salvatori – tranne l’immagine in movimento che ci circonda ovunque e in ogni momento”.

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