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Lettera di una ragazza straniera ai suoi coetanei italiani

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Saida Hamouyehy, studentessa di Scienze Politiche all’Università di Bologna, nata in Marocco e residente in Italia da 25 anni, ci ha inviato questa lettera che vorrebbe indirizzare ai suoi coetanei italiani. La lettera deriva dall’esperienza personale ma è un modo per raccontare anche il nostro paese. Per questo la pubblichiamo volentieri.

Photo credit: Fabrizio on Flickr

Cari ragazzi e ragazze italiani/e,

noi giovani di origine straniera, cresciuti in Italia, siamo esattamente come voi, per cui non dovete avere paura di noi. Siamo come voi, ma con qualche problema in più.

Mi spiego meglio. Prendete dei bambini, estrapolateli dal loro ambiente d’infanzia, e immergeteli in una cultura completamente diversa, a volte opposta alla loro, e una nuova lingua da dover imparare, rischiando di dimenticare quella di origine.

Crescere in un ambiente ostile non è così facile. Dover quasi quotidianamente, sin da piccoli, affrontare sfide che voi non conoscerete, se non nel caso in cui decidiate un giorno di espatriare, come fanno migliaia di ragazzi italiani ogni anno, ma anche in quel caso non capireste pienamente.

A scuola, se siamo poco bravi, siamo derisi dai compagni di classe e gli insegnanti danno per scontato che sia dovuto alla nostra origine, non ad altri fattori che influiscono, come per esempio problemi familiari. Se siamo più bravi dei compagni, invece, i professori ci ergono ad esempio da seguire, rinfacciando agli alunni italiani che “lo straniero” è migliore di loro che sono nativi e con genitori italiani.

Nella maggior parte delle scuole medie inferiori, quando si deve fare la prima grande scelta della vita per quanto riguarda la propria futura carriera lavorativa, i professori spesso indirizzano gli studenti di origine straniera verso percorsi professionalizzanti piuttosto che verso i licei.

Quando invece entriamo nel mondo del lavoro il nome, la foto e il luogo di nascita estero diventano spesso elementi discriminanti nel curriculum vitae. La questione è accentuata se si tratta di una ragazza che porta il hijab o di un ragazzo nero. Molte ragazze che per anni hanno indossato il velo, senza entrare nel merito se per scelta personale o perché imposto dai genitori, di fronte alle difficoltà nel trovare un lavoro vi rinunciano per tentare la fortuna recandosi ai colloqui di lavoro senza, oppure in altri casi sono gli stessi datori di lavoro che chiedono alle ragazze di toglierlo come requisito per l’assunzione.

Noi siamo come lo straniero definito da Simmel: non un ospite di passaggio, ma un uomo costretto a fermarsi, senza tuttavia sviluppare quei legami organici col mondo circostante propri dei residenti.

Quindi vi prego, non credete a quello che vi raccontano alcuni politici coi loro discorsi demagogici per fomentare odi razziali. Non abbiate paura dei nostri successi e delle nostre debolezze, come voi anche noi abbiamo le nostre storie familiari, complicate e troppo spesso pure disastrose, come può accadere quando è necessario gestire due realtà opposte. Perché noi giovani italiani di origine straniera siamo il risultato di due culture e due (a volte anche tre) lingue diverse, siamo ibridi in una società che spesso ci fa sentire non accettati.

Abbiamo bisogno di voi, come voi avete bisogno di noi, per far crescere questo paese e contribuire insieme al suo sviluppo sociale ed economico. Perché è diventato anche il nostro paese, qui siamo cresciuti e condividiamo con voi nostri coetanei italiani una parte del patrimonio culturale e sicuramente quello linguistico. Perché quando andiamo all’estero ci vantiamo della cucina italiana come fosse nostra e la elogiamo davanti a tutti come una delle migliori del mondo. E io personalmente prima di partire dall’Italia mi concedo quasi sempre un cappuccino, con la consapevolezza che altrove non troverò un caffè bevibile. Abbiamo l’Italia nel cuore, esattamente quanto il nostro paese di origine, perché il nostro cuore è enorme e può contenere due o più paesi e culture.

Saida Hamouyehy

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