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Legge di Stabilità: la manovra vecchio stile contro le partite Iva

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@www.allaguida.it

Una volta si chiamava Legge Finanziaria, o anche solo “la Finanziaria”. Allora c’era una torta da spartire e, nel regolare le entrate e le uscite dello Stato nell’anno solare, serviva ai parlamentari, illustri e peones, per misurare la propria forza e portare a casa il risultato minimo per il proprio territorio o per la categoria di riferimento.

Io votavo il tuo emendamento sul porcino doc di Alba e tu in cambio mi davi una mano a far approvare il finanziamento del distretto del suino nero dei Nebrodi. Gli elettori erano felici, i deputati soddisfatti puntavano sulla rielezione, quelli rimasti fuori dalla spartizione accusavano lo Stato vampiro.

Poi venne il tempo delle manovre lacrime e sangue, l’Italia sempre sospesa fra il baratro e il faticoso ingresso nel club europeo che avrebbe garantito più stabilità e meno angosce di fine anno.

Oggi, che in quel club siamo finalmente entrati e che la finanziaria è diventata Legge di Stabilità, ci troviamo però ad avere a che fare con una crisi senza precedenti, condizionati nelle scelte da quella austerità imposta dalla Germania, tramite il fiscal compact, all’intera Unione Europea.

E quindi, in mancanza di vacche grasse, ecco il Governo che vieta gli emendamenti ponendo la fiducia al Senato, dove il testo viene approvato, dopo una seduta fiume, solo alle 4,30 di notte. E giù botte sull’esecutivo, accusato di porre la fiducia su Topolino (Vacciani, ormai ex M5S), di mettere in atto “un furto” (Salvini), di aver “fallito due volte nel metodo (Parlamento bistrattato) e nel merito (non fa crescita e aumenta press fiscale)” (tweet Brunetta).

Sempre al Senato si è visto un po’ di tutto, con dubbi di legittimità avanzati dai tecnici e vizi procedurali e sostanziali ammessi dal presidente Grasso e poi dallo stesso Matteo Renzi, in serata ospite di Fabio Fazio.

Legge di Stabilità: regali ad Expo, Difesa e gioco d’azzardo?

Alla Camera (dove i numeri per il governo sono più solidi e dove quindi non è stata posta la fiducia) ancora il 21 dicembre l’ostruzionismo pentastellato portava i suoi frutti rinviando l’approvazione di un testo definito “marchettaro” dai grillini, perché regalerebbe finanziamenti esagerati alla cricca dell’Expo, alla Difesa, al gioco d’azzardo ignorando del tutto gli sgravi per le famiglie, le partite Iva, i professionisti. Il 22 dicembre il testo veniva però, dopo 15 espulsioni e un po’ di ulteriore bagarre, approvato con 307 voti favorevoli, 116 contrari e 2 astenuti, diventando legge dello Stato.

Non hanno tutti i torti i Cinque stelle, se è vero (a meno di provvedimenti correttivi a venire) che sull’altare del mantenimento dei famosi ottanta euro così come di un bonus bebè che rischia di essere più fumo che arrosto verrà di fatto sacrificato quel regime dei minimi che è stato ancora di salvezza per molte partite iva under 35. Anche un miliardo di fondi PAC, destinati in origine allo sviluppo dell’occupazione, soprattutto giovanile, in Sicilia vengono dirottati altrove dalla finanziaria.

Strano, insomma, che ad essere penalizzate siano proprio quelle categorie considerate non solo lo zoccolo duro dell’elettorato renziano, ma parte integrante di quella mitologia rottamatrice fatta di start up, accesso virtuoso ai fondi europei, giovani imprenditori. Segno forse di una inversione di tendenza nella strategia del premier, volta ormai a garantire gli interessi dei grandi mono e oligopolisti da un lato e a concedere pillole di welfare ai dipendenti con i redditi più bassi dall’altro.

L’impressione è, insomma, che esistano effettivamente, fra fiscal compact, crisi galoppante, interessi di parte, emergenze varie, margini di manovra risicatissimi, ma che anche quel poco spazio di movimento non sia utilizzato nella maniera che chi ha creduto nelle doti innovatrici del renzismo auspicava.

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