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La grande bellezza

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è un momento di particolare fermento per il cinema italiano come forse non succedeva da qualche anno. Dopo il fenomeno Checco Zalone, l’industria cinematografica italiana riesce a far parlare di sé anche fuori confine grazie a La grande bellezza di Paolo Sorrentino.

Il film, presentato a maggio durante il Festival di Cannes, nelle ultime due settimane ha trionfato con ben quattro premi alla rassegna di Berlino, European Film Awards, e ha ricevuto la nomination per il Golden Globe Award in quella che è notoriamente l’anteprima alla Notte degli Oscar a Hollywood.

Paolo Sorrentino è il più talentuoso e originale della nuova generazione dei registi italiani. Dopo l’esperienza americana di This must be the place, ritorna a raccontare l’Italia partendo proprio dal cuore dell’Italia stessa: Roma. La città eterna, infatti, non è solamente lo sfondo, l’ambientazione del film, ma ne è la protagonista assoluta, insieme e attraverso Jep Gambardella, personaggio principale interpretato da uno splendido Toni Servillo.

Jep Gambardella è uno scrittore e giornalista sessantacinquenne, e si autodefinisce il re della mondanità. Sin dai primi minuti del film, Jep sembra prendere per mano lo spettatore per farlo immergere nella società capitolina contemporanea, in un mondo fatto di feste e festini, balli e trenini, sesso e gossip, alcol e droga, leggerezza e ipocrisia, malattia e morte.

Il film, più che raccontare una storia, sembra essere un’escursione, una visita guidata intensissima e dettagliata nel mondo della Roma alto borghese e frivola dei nostri anni. Palazzi lussuosi, terrazzi con vista sul Colosseo, ville con panorami mozzafiato, chiese e conventi religiosi, i ponti sul Tevere, lo splendore eterno di Roma sono la cornice di un quadro che diventa sempre più misero e decadente.

Attorno a Jep si alternano tanti personaggi e tante storie. Una parata perlopiù di cinquantenni irrisolti: politici, nobili, ricchi di famiglia, eterni Peter Pan. La finzione e il circo mondano sembrano essere la loro ragione di vita. E di questo mondo viene evidenziato ogni aspetto, i comportamenti, le abitudini, le regole non scritte, sempre attraverso lo straordinario personaggio di Jep.

Ogni altro protagonista è più che altro una comparsa, come un gregario che lavora per il capitano della squadra, per tirargli la volata. Jep è il capitano assoluto, gli altri, chi più chi meno, sono tutti dei complementi. Tra questi però possiamo trovare un bravissimo Carlo Verdone, una sorprendente Sabrina Ferilli, e poi ancora Iaia Forte, Serena Grandi e tanti altri bravissimi attori.

È forse questa l’opera della maturità per Sorrentino. La cura del dettaglio ne La grande bellezza pare essere ancora più maniacale che nei film precedenti. Ogni centimetro della pellicola sembra avere il marchio “Paolo Sorrentino”. La regia, la fotografia, le luci, le scene surreali che ogni tanto compaiono nel film mescolandosi naturalmente alla normalità, divenendo realtà a tutti gli effetti. E poi la scelta delle musiche, i dialoghi, i discorsi strani, le frasi destinate a diventare cult, i monologhi e i protagonisti che diventano nello stesso tempo voce narrante, la stranezza e l’unicità dei personaggi.

E nemmeno la riproposizione dell’accoppiata Sorrentino-Servillo appare casuale. È uno dei connubi migliori del cinema italiano. La regia e le storie di Sorrentino esaltano la bravura di Servillo, e le interpretazioni dell’attore innalzano il livello del film. Non poteva esserci un altro Jep senza le sembianze di Toni Servillo. Jep Gambardella è diverso ma somiglia tantissimo a Titta Di Girolamo de Le conseguenze dell’Amore, a Giulio Andreotti de Il Divo, a Toni Pisapia de L’uomo in più. A differenza però di questi ultimi, in un panorama di decadenza Sorrentino concede a Jep un segnale, una speranza per una rinascita.

Fa piacere sapere che il film stia avendo successo all’estero. Fa piacere sapere che faccia incetta di premi e nomination. Fa piacere sapere che c’è speranza che il cinema italiano torni a far parlare di sé dopo anni di anonimato.

Fa riflettere invece il fatto che dopo la sua uscita l’accoglienza in Italia sia stata tiepida, che si siano lette soprattutto critiche e opinioni contrastanti. Ma tant’è, a volte si critica giusto per criticare, perché parlare bene di qualcosa magari può sembrare noioso, perché si ricerca sempre l’avanguardia anche nella critica. D’altronde La grande bellezza racconta fedelmente i costumi, le abitudini e gli schemi mentali di una parte della nostra società contemporanea, per cui, a maggior ragione, c’è poco da stupirsi.

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