Site icon Le Nius

La cantatrice calva: ultimo allestimento di Castri al Teatro Vascello

Reading Time: 3 minutes

La cantatrice calva recensione

[quote align=”center” color=”#999999″]“Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto a un fuoco inglese. Porta occhiali inglesi; ha baffetti grigi, inglesi. Vicino a lui, in un’altra poltrona inglese, la signora Smith, inglese, rammenda un paio di calze inglesi. Lungo silenzio inglese. La pendola inglese batte diciassette colpi inglesi.”[/quote]

Inizia così il teatro dell’assurdo, di cui Eugene Ionesco, insieme a Beckett, fu il maggior rappresentante. La cantatrice calva, rappresentata per la prima volta nel 1950, dà vita a un nuovo modo di concepire l’esistenza e quindi di rappresentarla “per me si era trattato di una sorta di crollo del reale. Le parole erano diventate delle cortecce sonore, prive di senso; lo stesso i personaggi, si erano svuotati della loro psicologia, e il mondo mi compariva in una luce insolita, forse nella sua vera luce, al di là di interpretazioni e di una causalità arbitraria”.

Il teatro Vascello, con questo spettacolo irresistibile prodotto dal Teatro Metastasio e andato in scena dal 31 marzo al 4 aprile, ricorda il regista Massimo Castri, scomparso nel 2013.

I protagonisti – impersonati da Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio, Francesco Borchi – sono due anonime coppie inglesi, gli Smith e i Martin, rappresentanti di una tipica esistenza borghese scandita, in un inanimato salotto borghese, dai rintocchi dell’orologio, unica presenza che esprime vibrazioni ed emozioni.

Una messinscena raffinatamente vittoriana, in cui al di sopra dei modi e del perbenismo british prevale l’irresistibile energia del pettegolezzo, le vittime coinvolte hanno tutti lo stesso identico nome.

I personaggi hanno smesso da tempo di pensare, non sanno più comunicare perché hanno dimenticato il modo in cui si può esistere. Marito e moglie, nel loro fare freddo e composto, sparlano di tutti senza parlare di niente. Frasi banali e prive di passione costituiscono la cantilena quotidiana dei personaggi, questo dialogare per inerzia e del nulla crea una situazione paradossale, comicamente assurda per lo spettatore.

Pompiere: (si dirige verso l’uscita, poi si ferma) A proposito, e la cantatrice calva?
Silenzio generale, imbarazzato.
Signora Smith: Si pettina sempre allo stesso modo!

La genesi de La cantatrice calva è estremamente bizzarra: Ionesco aveva iniziato a imparare l’inglese e, studiando su un manuale di conversazione, rimase stupito dalla comicità dei dialoghi, quasi inverosimili per la loro banalità. Riadattandoli in chiave umoristica, si trovò un testo teatrale quasi perfetto.

La cantatrice calva non esiste, per Ionesco rappresenta “le verità elementari e sensate, di cui la società borghese usa e abusa”, è l’unico modo per rappresentare la realtà, inventando nonsense. I suoi protagonisti sono immersi in un oceano di stereotipi piccolo borghesi che limitano e impoveriscono. Solo reagendo a questo sistema si può sperare di esistere con dignità e spessore.

Ionesco non trova delle risposte all’assurdità del vivere, ma l’oscurità che fa emergere apre uno spiraglio alla possibilità che in futuro qualcosa di diverso e migliore possa accadere davvero.

“Tout cela doit provoquer chez les spectateurs un sentiment pénible, un malaise, une honte”.

La commedia termina con i signori Martin seduti in poltrona che dialogano usando le stesse battute degli Smith, che ci avevano accolto all’inizio dello spettacolo… La vita ricomincia da capo anche se i protagonisti cambiano.

CONDIVIDI
Exit mobile version