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Immigrazione: Erase & Rewind

@r4n

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Molti termini che compongono il vasto vocabolario legato all’immigrazione hanno assunto connotazioni che non corrispondono al loro significato primario. La nostra lingua, da mezzo di comunicazione si è trasformata in strumento di discriminazione. Considerazione affrettata e apocalittica? Forse no… Proviamo a passare in rassegna i principali vocaboli di un fantomatico dizionario dell’immigrazione, che circola quasi a nostra insaputa, tra le maglie della società:

Extracomunitario: individuo di carnagione nera (o scura). L’extracomunitario vive alla giornata e provvede al proprio sostentamento passando da un lavoretto occasionale all’altro (più precisamente dal “vucumprà” sulle spiagge al “lava-vetri” ai semafori), se non per mezzo di attività illecite di maggior gravità. L’extracomunitario esperisce, inoltre, condizioni abitative e socio-sanitarie di forte disagio e precarietà.

Immigrato: straniero proveniente dai Paesi più poveri e reconditi del Pianeta Terra. L’immigrato pianifica e realizza una lenta ma costante invasione massiva dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente. Il suo sogno nel cassetto è quello di rubare il Paese, il lavoro e la vita stessa all’italiano. È quindi non solo lecito, ma anzi opportuno e doveroso temere l’immigrato e dichiarare guerra alla società multietnica.

Irregolare o clandestino (pressoché sinonimi): colui che giunge in Italia sulle affollatissime “carrette del mare”. Se è valida l’equazione immigrato uguale criminale, per l’irregolare  non c’è speranza di redenzione. Il clandestino è, per sua incontrastabile natura un violento, un impostore, un fondamentalista, uno stupratore in branco.

Bene. Ora facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti fondamentali:

Extracomunitario: (termine coniato e diffuso unicamente in Italia!) ebbene, è un extracomunitario a tutti gli effetti – proprio come il senegalese, il cinese e il marocchino – anche il ricco banchiere statunitense, l’australiano e il canadese. Se da una parte questo termine esprime un’idea estremamente forte di inclusione/esclusione rispetto allo spazio dell’UE, dall’altra si rivela del tutto approssimativo e insufficiente in quanto omette la fondamentale informazione relativa alla provenienza dell’individuo in questione: da Paesi “in via di sviluppo” o Paesi “sviluppati”?

Immigrato: solo colui che sceglie, più o meno spontaneamente, di arrivare in Italia, spinto da motivazioni economiche e/o sociali è un immigrato vero e proprio. Diversamente avviene nel caso dei rifugiati e dei richiedenti asilo, i quali sono costretti da situazioni politiche o da calamità. Ma non va dimenticato che dietro ogni immigrato c’è un emigrante: sono due facce della stessa medaglia, ragion per cui il termine più opportuno per definire queste persone è migranti.

Irregolare (anche detto overstayer): migrante che arriva legalmente in italia con pregresse condizioni formali che devono essere aggiornate come ad esempio un permesso di soggiorno scaduto da rinnovare. Al contrario, viene indicato col termine clandestino chi arriva e permane in Italia in condizioni di “illegalità”.

L’utilizzo di tali etichette spersonificanti è sufficiente a connotare negativamente le persone a cui si riferiscono. Ma come è possibile che ciò accada? Forse l’uso semplificato e fuorviante dei termini descritti è il frutto di superficialità e strumentalizzazione politica e mediatica. Ed è a dir poco preoccupante constatare come il linguaggio possa trasformarsi in un’arma.

Riscrivere il vocabolario migratorio è quindi restituire centralità, ma soprattutto umanità, alle persone.

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