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Il venditore di medicine: doping sociale

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Fino a che punto ci si può spingere per conservare la propria posizione? Domanda sempre attuale, non soltanto in periodo di crisi e di posti di lavoro persi, e rilanciata da Il venditore di medicine di Antonio Morabito.

Il venditore di medicine: la trama

Bruno (Claudio Santamaria) è un informatore medico della Zafer sui 35 anni, sposato con Anna, insegnante appena diventata di ruolo, abita in una splendida casa con piscina e guida un’auto di grossa cilindrata. La sua vita agiata rischia però di essere messa in discussione dal momento di crisi che l’azienda attraversa, la sua capo area (Isabella Ferrari) preme nelle riunioni perché i suoi informatori facciano fruttare al massimo i regali ai medici, denigrando chi non riesce a fare profitti e minacciando la perdita del posto. Un collega si suicida, la tensione aumenta con le telefonate di controllo che arrivano in ogni momento, Bruno diventa ancora più cinico e sfacciato nel tentativo di far aumentare le prescrizioni di medicinali, la corruzione e l’arroganza sono i principali ingredienti del suo lavoro e trovano spesso accondiscendenza nei dottori.

Il venditore di medicine: la recensione

Il quadro d’insieme è desolante come la cronaca degli ultimi giorni sulle tangenti Expo o come gli scandali della sanità degli ultimi anni, il mondo del farmaco viene dipinto come disperatamente aggrappato a beni di consumo e a privilegi, tanto che spiccano per contrasto la figura del medico che rifiuta il dono interessato e l’amico gravemente ammalatosi facendo la cavia per testare farmaci, cui Bruno si premura di recuperare medicine rare, in modo comunque illecito. La cosa più inquietante è che sembrano non esserci alternative, la competizione è feroce e richiede l’uso di tutti i mezzi possibili, la legalità non è neanche contemplata.

Ma non è soltanto questo.

Le medicine assomigliano a pillole magiche per la ricerca della felicità, fisica o economica che sia. Forse è meglio dire pillole contro la disperazione, tanto che lo stesso Bruno ne fa ampio uso per contenere la sua ansia e anche per impedire, di nascosto, la gravidanza della moglie che, desiderosa di avere un figlio, aveva smesso di usare la pillola.

Competizione e pillole, il mondo dopato di Bruno si avvita tristemente su se stesso e a lui non basta aver strappato, grazie a un ricatto, l’introduzione di un costoso farmaco Zafer in un noto ospedale (che ha come primario il corrotto Marco Travaglio!), il suo rapporto con la moglie va a rotoli e l’immagine finale di lui che risale lentamente una squallida scala d’ospedale rappresenta efficacemente il suo sfacelo interiore nonostante i recenti successi professionali.

Il venditore di medicine è un fim di denuncia, ma anche un film metafora: le cose luccicanti messe al primo posto finiscono col rotolare giù dalla scala delle priorità e imbrattarsi irrimediabilmente di fango.

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