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Il corpo non dimentica di Violetta Bellocchio

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“La memoria è una cosa fisica”: e da questo Violetta Bellocchio sa che non può scappare. Dopo aver passato molto tempo a bruciare ricordi, la giornalista e autrice di Sono io che me ne vado ha deciso di scrivere Il corpo non dimentica, un memoir della sua vita di binge drinker, una persona che fa vere e proprie abbuffate alcoliche con lo scopo di perdere il controllo. Gli alcolisti in Italia sono circa un milione. Ogni anno 40.000 ne muoiono per cirrosi epatica, tumori, infarti, suicidi, omicidi o incidenti stradali e domestici. A lei non è successo. Perché? Puro caso.

Dal 15 gennaio 2006 Violetta smette di bere: dopo l’ennesima notte finita nel dimenticatoio, la porta di casa lasciata aperta e il sonno consumato con ancora trucco e vestiti addosso, decide che ne ha abbastanza. Una goccia di troppo in un vaso riempito e svuotato con metodo, ogni giorno, per anni. Ma non bastano le riunioni con gli Alcolisti Anonimi. Qualcosa non va. Cinque dita nella sua pancia si muovono, fanno male, richiamano dolorosamente la sua attenzione.

Comincia un percorso di analisi e la sua terapeuta le assegna un compito: tirare fuori dal suo corpo la memoria che non c’è più. Per 28 giorni (esatto, come il film) la Bellocchio naviga tra parole come Futuro, Protezione, Motel, Metodo e recupera frammenti perduti, ossicini di un corpo. Quello di un’altra, lei. C’è un’altra dentro, lei, che urla, parla spagnolo e prende il controllo delle sue mani che scelgono, comprano, stringono e nascondono bottiglie. Riconoscerla – lei – e metterlesi accanto nella strada di ogni giorno è il giusto lieto fine di una storia di continua resistenza.

Resistere è la parola che dedico a questo libro. Resistere alla voglia di cancellare, andare veloce, sempre più veloce. Resistere al ricordo di quanto è più facile bere per sentirsi meglio e poi peggio. Resistere perché chi esce dall’alcolismo non è mai un non-alcolista, ma un alcolista passivo, uno che ha delle regole per sfuggire al bicchiere offerto in una cena di lavoro.

Quella di Violetta Bellocchio è una scrittura di resistenza: al perbenismo, al piangersi addosso, all’anonimato perché in queste pagine non c’è una frase che – per ritmo e velocità – passa inosservata. C’è musica, c’è movimento, ogni frase vive a cavallo tra un rave, un concerto rock e una festa delle medie andata a male.

Ho incontrato Violetta Bellocchio al Salone Internazionale del Libro di Torino nel 2009. Avevo letto Dizionario affettivo della lingua italiana (Fandango), dove aveva scritto la voce “Alligatore”. Il Dizionario era così: ognuno ci metteva dentro una parola che gli stava a cuore, un po’ da salvare, un po’ da coccolare, e lei alla fine della sua scrive “Adesso spiegami con che coraggio la gente continua a dire coccodrillo”. Che sono quelle cose che, personalmente, mi colpiscono sempre, la scelta che le persone fanno quando devono pronunciare una parola al posto di un’altra, più bella.

Dopo aver letto Il corpo non dimentica, non ho potuto fare a meno di tornare a quell’episodio e chiedermi se fosse stata sobria. Stando alla sua ricostruzione lo era. Ci siamo abbracciate, quel giorno: magari ha provato fastidio (perché non a tutti piace il contatto fisico), magari no. Pensare che l’abbraccio sia stato sincero, percepito e potenzialmente ricordato, mi ha strappato un inevitabile sorriso.

La citazione: “La parte migliore del futuro è che sta sempre cambiando”.
Consigliato a: chi teme (o ama) le dipendenze.
Il libro: Il corpo non dimentica, Violetta Bellocchio, pp. 276, 17 euro, Mondadori 2014.

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