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Frontex, Europa e immigrazione: c’è una politica comunitaria?

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Le date a volte esprimono amare coincidenze. Giovedì 3 ottobre 2013, 339 persone perdevano la vita annegando al largo di Lampedusa, nel tentativo di raggiungere l’Europa. Una settimana dopo, giovedì 10 ottobre, il Parlamento Europeo approvava la creazione di Eurosur, il sistema di sorveglianza delle frontiere terrestri e marittime a rafforzamento di Frontex, agenzia per la sicurezza e la gestione dei confini esterni dell’Unione Europea.

Mentre Frontex è operativa dal 2005, Eurosur entrerà in vigore il prossimo dicembre per Bulgaria, Estonia, Francia, Spagna, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia. I restanti Stati membri aderiranno dal dicembre 2014.

Proprio a ridosso della tragedia di Lampedusa, dunque, l’Europa si è mossa insistendo su maggiori controlli. Con le parole di Jan Mulder, relatore del testo di Eurosur all’Europarlamento, «solo con un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere eviteremo che il Mediterraneo diventi un cimitero per i rifugiati». Secondo altri, rendere i controlli più rigidi renderà ancora più pericolose le rotte disperate dei migranti.

Frontex e Eurosur: cosa sono

Frontex è un’Agenzia UE con sede a Varsavia, il suo principale obiettivo è quello di supportare le autorità di frontiera dei Paesi membri. Fornisce assistenza nella formazione, nei controlli e nei pattugliamenti. Coadiuva gli Stati membri in operazioni di rimpatrio e, in casi eccezionali, dispone di un contingente sovranazionale di intervento e di mezzi (elicotteri, aerei, navi e attrezzature radar). Nel 2008 il budget era di 70 milioni di euro, successivamente ha raggiunto i 118 milioni, parte dei quali ora sarà destinata a Eurosur.

Eurosur è un programma che va a rafforzare l’operato di Frontex. Ha come obiettivi quello di limitare il numero dei cittadini di paesi terzi che entrano illegalmente nel territorio dell’UE, ridurre il numero di decessi e rafforzare la sicurezza interna dell’Unione. Crea una rete multi-livello fra Stati Membri e Frontex mediante scambio in tempo reale di dati. Ogni Stato infatti istituirà un centro di coordinamento per Eurosur, che funzionerà per lo scambio di informazioni con Frontex.

Il Commissario europeo per gli Affari interni, Cecilia Malmström, proprio in concomitanza alla sua visita a Lampedusa, ha così spiegato: «Questo strumento rafforzerà la cooperazione a diversi livelli: nazionale, tra gli Stati membri, e tra questi e Frontex. Avremo più possibilità di prevenire reati transfrontalieri e di individuare le imbarcazioni di migranti in pericolo». Le operazioni in ambito Eurosur dovranno rispettare i diritti fondamentali e i principi dell’Unione Europea in materia di immigrazione, compreso il divieto di respingimento verso paesi a rischio, il principio della protezione dei dati personali e la non comunicazione di questi ai paesi di origine dei migranti.

Respingimenti, non integrazione

E’ effettivamente plausibile immaginare che un sistema di pattugliamento integrato a livello Europeo potrà permettere interventi più tempestivi sia per arrestare scafisti trafficanti di uomini (e altro), sia per salvare i barconi alla deriva da tragici naufragi. Tuttavia, verrebbe da chiedersi se sia possibile essere ottimisti su “nuovi” sistemi (Eurosur), a rafforzamento di quelli vecchi (Frontex), quando quelli vecchi hanno fallito sia nella “difesa” delle frontiere sia – soprattutto – nell’assicurare dignità e sopravvivenza ai migranti.

Il nodo della questione non risiede né nell’architettura di questi sistemi (di per sé potrebbe essere mirabile o magari invece disastrosa), né nella loro dotazione finanziaria. Piuttosto, risiede nella volontà sottostante alla politica europea sull’immigrazione, ammesso che ne esista una. La questione è: l’UE riconosce il diritto dei migranti di fuggire da vite insopportabili in Paesi invivibili per raggiungere le nostre comuni frontiere? Se sì, come assicura l’enforcement di questo diritto negli Stati membri?

L’Unione Europea e i diritti dei migranti

L’Unione Europea ha alcune competenze in materia di immigrazione e di asilo consacrate nei Trattati e garantisce diritti ai migranti in modo estensivo. Tuttavia, la materia implica questioni inerenti alla difesa e alla politica estera degli Stati membri, i quali non hanno concesso che queste competenze fossero esclusivamente devolute in capo all’Unione. Ciò dà luogo a una serie di competenze concorrenti fra Unione e Stati membri, nonché ad alcune prerogative proprie di questi ultimi. Il quadro complessivo non è del tutto chiaro e in esso si districa a fatica anche la giurisprudenza. Esiste però un dato politico, che qui si vuole sottolineare: questa “non chiarezza” è tutt’altro che casuale.

Gli Stati membri – soprattutto i meno responsabili, come l’Italia – si affrettano ad invocare l’Europa quando non sanno come cavarsela, per scaricare proprie responsabilità di fronte all’opinione pubblica. Tuttavia ben si sognano di delegare i poteri che potrebbero permettere di affrontare il problema immigrazione a livello europeo. Perché? Perché se l’Europa avesse competenze pregnanti e potere coercitivo sugli Stati membri in materia di immigrazione, potrebbe imporre loro comportamenti gravosi. Potrebbe pretendere, ad esempio, il rispetto dei diritti dei migranti mediante proprie norme e agenzie, o forse imporre quote di migranti da accogliere per Stato membro. Potrebbe sanzionare chi viola le regole. A tutti gioverebbe, probabilmente, ma a tutti richiederebbe costi e meno parole.

L’Unione Europea e lo scaricabarile degli Stati

Come sempre, però, l’Europa fa più comodo come specchietto per mascherare insipienza e inconcludenza, e l’Italia è oro olimpico in questo sport. Nessuno dice la verità: gli Stati non vogliono cedere sovranità in questo ambito per timore di non potere più condurre le proprie contraddittorie politiche. Ma siccome i matrimoni non si fanno con i fichi secchi, i limitati poteri concessi a livello europeo consentono giusto di creare sistemi di sorveglianza dei confini, quali Frontex e Eurosur.

Può questo definirsi una “politica europea dell’immigrazione”? La domanda è ovviamente retorica. Queste sono mere misure di controllo e scambio dati. Dov’è la politica, la scelta di prospettiva, il bene da tutelare, il cardine in diritto? Si trova – se c’è – sparpagliata in 28 capitali diverse, che si accusano l’un altra e chiamano in causa l’Europa, dimenticando che l’Europa sono loro, siamo tutti noi e non un burocrate marziano. Ma un’UE povera di poteri reali in materia di immigrazione consente ad alcuni Stati pratiche ai limiti dell’illegale e spesso oltre i limiti del disumano, ad altri Stati di fregarsene, e il tutto senza che una legge comune cogente consenta di chiamarli a risponderne.

La politica preferisce conferire un mandato senza poteri, per poi accusare il mandatario (Europa) di inerzia. La politica nazionale è responsabile di un’Europa inerme, contro cui lancia strali in faccia alle telecamere per proprio tornaconto. Solo che, stavolta, in faccia alle stesse telecamere stanno 339 bare adagiate su un sasso levigato nel cuore del Mediterraneo. E anche di questo qualcuno è responsabile.

Immagini| Corriere.it

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