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Essere analfabeta oggi. Processi di esclusione nelle società dei segni

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Quando stamattina ho aperto gli occhi, sul display della mia sveglia lampeggiava un numero: 06:50. Mi informava che avevo quaranta minuti di tempo prima di uscire per andare ad un incontro di lavoro. Scesa dal letto, ho pescato il caffè da una confezione su cui c’era scritto “100% arabica”, i biscotti da un’altra che diceva “Frollini integrali” e la marmellata da un vasetto su cui la calligrafia elegante di mia madre aveva annotato “Arancia – 2013”. Arrivata in stazione, ho controllato le partenze dei treni su un tabellone elettronico appeso all’entrata, dal quale ho appreso che il mio – proveniente da “Belluno” e diretto a “Padova” – era in ritardo di 10 minuti. Mentre aspettavo, ho acceso il telefonino e controllato la mia mail e la homepage di Facebook, poi ho passato in rassegna con lo sguardo i titoli dei giornali esposti in edicola. Arrivata a destinazione, ho cercato sulla mappa cittadina la via in cui ero attesa per la riunione e, una volta trovata, l’ho percorsa sino ad arrivare al “Conad”, come mi era stato suggerito per telefono. Davanti all’entrata del condominio, ho iniziato a scorrere le targhette sui campanelli fino a trovare quella dell’agenzia che mi aspettava. Non credo sia necessario continuare. C’è già materiale sufficiente per proporre una riflessione sull’essere analfabeta oggi: cosa significa? Che conseguenze ha dal punto di vista sociale e culturale?

Se facciamo mente locale sulle nostre esperienze quotidiane, ci rendiamo subito conto di quanto sia pervasivo ed indispensabile il nostro rapporto con la scrittura: quella di lettere, numeri, messaggi e testi più o meno lunghi, abbinata alla continua lettura di insegne, nomi, orari, istruzioni, informazioni, riferimenti geografici.

Senza la capacità di lasciare e di decifrare informazioni scritte, sapremmo davvero gestire le nostre attività più semplici? Orientarci nello spazio geografico? Comunicare in qualsiasi tipo di ambiente? Non sto parlando della possibilità di trovare lavoro, fare carriera o vincere il prossimo premio Pulitzer, ma di fare la spesa, prendere l’autobus, compilare una qualsiasi richiesta ad uno sportello pubblico. Sembra di no.

Noi europei, così come alcune popolazioni asiatiche, siamo infatti una cultura sostanzialmente scritta che si basa su tradizioni alfabetiche millenarie: da millenni cioè (e precisamente dal 3.500 a.C., periodo di supposta formulazione della scrittura cuneiforme sumerica) siamo abituati a contare, comunicare, trasmettere e memorizzare informazioni attraverso quel gesto – apparentemente banale, in realtà molto complesso – consistente nel tracciare su di un supporto dei segni che altri possano interpretare in base ad un codice condiviso.

Essere analfabeta oggi: cos’è l’alfabeto

Questo codice, o sistema di scrittura, viene comunemente detto alfabeto (parola che deriva dalle prime due lettere greche alpha e beta, per l’appunto) quando ad un segno grafico (detto grafema) corrispondono uno o più suoni (detti fonemi). Ci sono anche sistemi di scrittura non (completamente) fonetici (come gli abjad e abugida, che hanno dei grafemi per le consonanti mentre lasciano inespresse le vocali) e non alfabetici ma ideografici (come quello egiziano antico o quello cinese attuale, nei quali ad un segno corrisponde non un suono ma un concetto), ma per comodità non li considereremo qui. Questo sito offre una panoramica interattiva sui sistemi di scrittura attuali ed estinti, alfabetici e non, e anche sulle cosiddette lingue artificiali o costruite.

Leggere e scrivere non sono attività universali ma pratiche strettamente locali, che – per motivi legati soprattutto alle modalità e necessità della comunicazione – nel mondo si sono sviluppate presso alcune popolazioni e non presso altre: distinguiamo in tal senso le cosiddette “culture della parola scritta” dalle “culture ad oralità primaria” (che tutt’ora cioè non hanno una lingua scritta) e da quelle “ad oralità secondaria” (le culture per la cui lingua è stato elaborato un alfabeto solo di recente o per contatto con culture alfabetizzate). Anche nel caso delle prime, comunque, la diffusione della competenza di lettura e scrittura è sempre stata socialmente differenziata, legata cioè a fattori quali il prestigio, il ruolo politico, il benessere economico e nello stesso Occidente si è diffusa in modo capillare solo con l’avvento dell’istruzione elementare, dunque non prima dell’Ottocento o Novecento a seconda dei paesi.

Nel mondo esistono attualmente circa trenta alfabeti, distinti in base al tipo di segno grafico con cui vengono trascritti i suoni: tra quelli europei annoveriamo così l’alfabeto latino, quello greco, il cirillico, il georgiano, l’armeno; tra quelli asiatici abbiamo invece l’alfabeto arabo, quello ebraico ed il tibetano; fra i pochi alfabeti africani figura ad esempio il tifinagh, usato dai Berberi. Mentre alcuni alfabeti si sono estinti nel tempo ed altri sono tutt’ora a rischio di scomparsa, altri ancora sono diventati il sistema di trascrizione per lingue un tempo solamente orali.

In generale, uno stesso sistema alfabetico può essere usato per trascrivere più lingue: ad esempio la lingua francese, italiana, inglese ecc. fanno tutte uso dell’alfabeto latino. L’uso di un certo alfabeto come codice scritto riflette senz’altro le dinamiche della storia e dei rapporti di potere: ad esempio molte lingue native americane, tradizionalmente orali, stanno andando incontro oggi ad un problematico processo di trascrizione che sembra essere da un lato necessario alla loro sopravvivenza, dall’altro destinato ad incanalarsi nei codici alfabetici e fonetici della società inclusiva americana (ma gli esempi in questo senso sarebbero tantissimi, soprattutto nelle aree del mondo storicamente interessate dal colonialismo europeo).

Essere analfabeta oggi: conseguenze sociali e culturali

Al di là del mero dato storico-etnografico, però, c’è un aspetto della questione che mi sembra particolarmente importante: nella nostra percezione, infatti, la padronanza di un alfabeto è stata a lungo considerata come un sinonimo di intelligenza, emancipazione, finanche superiorità culturale tanto che, nel linguaggio corrente, l’esclamazione “che analfabeta!” è ancora un modo abbastanza incisivo per screditare qualcuno. Per non parlare di tutta la nuova gamma dei cosiddetti “disturbi specifici dell’apprendimento” che classificano come deficit proprio una diversa modalità di gestione della parola scritta: la disgrafia e la dislessia etichettano infatti come mancanza quella che, da altri punti di vista, potrebbe essere considerata una maniera semplicemente altra di processare le informazioni da parte di soggetti che, notoriamente, riescono poi ad eccellere in altri campi intellettuali (come la musica).

Ma allora che cosa effettivamente comporta, sul piano cognitivo, l’uso di un sistema alfabetico? Scrivere e leggere sono due abilità assai complesse ed interrelate (si parla infatti di “letto-scrittura”), che mettono in moto abilità, competenze, precondizioni di ampia portata.

Utilizzare un alfabeto vuol dire però, prima di tutto, abituarsi ad associare un suono ad un segno ed un significato ad un insieme di segni, dove il rapporto fra segni e suoni/significati è del tutto arbitrario e variabile da lingua a lingua. Chi impara a scrivere di solito viene anche abituato ad una certa modalità di gestione dello spazio di scrittura (il foglio, la lavagna, lo schermo del pc): la scrittura ha infatti una precisa direzionalità ma può anche essere organizzata secondo criteri diversi (pensiamo, nel nostro caso, a liste, elenchi, tabelle, diagrammi).

L’utilizzo di un sistema di scrittura implica più in generale lo sviluppo ed il potenziamento del pensiero analitico rispetto ad un pensiero globale/olistico, tipico di una condivisione esclusivamente orale della conoscenza. Avere a disposizione tale sistema significa poi disporre di una tecnologia della memoria completamente diversa, dotata di supporti che permettono di esternalizzare le informazioni, visualizzarle e conservarle. Quello abituato all’oralità è inoltre un pensiero tendenzialmente formulaico e ridondante, situazionale, paratattico e sonoro, mentre quello abituato alla scrittura è un pensiero più lineare, astratto, ipotattico e visivo.

Laddove è storicamente intervenuta su culture ad oralità primaria, l’introduzione (o l’imposizione) di un alfabeto ha avuto delle conseguenze di portata enorme sia sul piano individuale che su quello culturale e politico: si tratta di una questione estremamente delicata che antropologi come Walter Ong e Jack Goody hanno ricostruito in modo dettagliato e competente con numerosi esempi storici ed etnografici, costringendo chi legge i loro lavori a mettere in una prospettiva totalmente nuova la propria stessa capacità (e possibilità storica) di leggere e scrivere.

Le competenze della letto-scrittura sono quindi culturali e legate a precise condizioni storiche. Nella nostra società l’utilizzo dei segni viene normalmente insegnato ai bambini fin da piccoli, quando i loro cervelli sono spugne dotate di enorme flessibilità e potenzialità di apprendimento: la consuetudine con i segni non è invece cosa scontata per gli adulti non scolarizzati, e nel caso di persone completamente analfabete il contatto con un mondo così fortemente dipendente dalla parola scritta e letta può diventare un’esperienza di spaesamento e disagio.

È il caso ad esempio di molti immigrati che arrivano in Europa. In Italia, l’attestazione di conoscenza (almeno al livello A2) della lingua italiana è diventato per loro un requisito fondamentale per ottenere i documenti e, in generale, per poter accedere a molti posti di lavoro. Anche tralasciando le certificazioni formali, è indubbio che l’analfabetismo costituisca per queste persone una condizione di vulnerabilità sociale ed un implicito impedimento all’integrazione: non perché esse sono analfabete in sé, ma perché si trovano a vivere da analfabete in un ambiente culturale quasi completamente fondato sulla scrittura e la lettura.

Solo di recente il rapporto fra analfabetismo ed integrazione ha iniziato ad essere preso in considerazione, e credo meriti di essere compreso un po’ più a fondo nelle sue implicazioni sia culturali che pratiche. Mentre gli studiosi del linguaggio lo esplorano ed elaborano possibili mediazioni fra il mondo dell’oralità e quello della scrittura, noi possiamo provare ad immaginarci catapultati a vivere, muoverci, mangiare, lavorare, interagire in un contesto dove l’alfabeto in uso fosse, per esempio, questo:

Լինում է, չի լինում մի խեղճ մարդ՝ անունը Նազար։ Էս Նազարը մի անշնորհք ու ալարկոտ մարդ է լինում, Է՜նքան էլ վախկոտ, է՜նքան էլ վախկոտ, որ մենակ ոտը ոտի առաջ չէր դնիլ, թեկուզ սպանեիր

Buona lettura.

Immagine | Bazar del Bizzarro

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