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I had a dream. Le Voci di dentro a Londra

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Ho fatto un sogno assurdo, bellissimo. Ho sognato che al Barbican c’era uno spettacolo di Eduardo, che ci recitava Servillo e che nella compagnia c’era pure Vincenzo. Vincenzo con la sua faccia un po’ antica, padrone della scena, forte e sicuro. Era tutto recitato in lingua originale e il pubblico era estasiato, divertito, commosso.

[quote align=”center” color=”#999999″]Aspetta un momento. L’ho sognato o è accaduto veramente?[/quote]

Chi conosce il testo di Eduardo o chi è stato tanto fortunato da entrare in possesso di un biglietto per vedere Le Voci di Dentro di Teatri Uniti (so che in Italia sono andati a ruba) sa a che tipo di equivoco mi riferisco. L’intera vicenda infatti è basata sullambiguità tra sogno e realtà, sonno della coscienza e veglia della ragione. Ma il testo, sorprendentemente attuale, è intriso di altre mille altre sfumature e significati, andatevelo a leggere se non lo conoscete!

Il Barbican è uno dei centri culturali più interessanti che abbia conosciuto a Londra, la sua architettura è complessa e la programmazione variegata e ricca. L’incontro tra questo luogo di arte contemporanea e l’allestimento di un lavoro di De Filippo non ha prodotto alcuno stridore cacofonico, bensì un corto circuito vivo e ricco di spunti. L’allestimento ha il grande merito di concentrare tutta l’attenzione sull’azione degli attori e sulle parole di Eduardo, persino l’Oscar non riesce a distrarre da questi due picchi.

Ma io voglio parlare di Vincenzo.

In realtà quel sogno l’ho fatto davvero. Qualche anno fa, quando lavoravo nell’organizzazione del progetto Punta Corsara. Un progetto complesso e unico. Tra i tanti risultati diretti e indiretti prodotti da quell’esperienza, c’è un gruppo di attori giovani che hanno avuto la possibilità di seguire un percorso formativo di rara intelligenza da cui è nata una compagnia teatrale e sono sbocciati talenti come Vincenzo.

Vincenzo Nemolato mi parla di questa esperienza come di un impegno importante, un’occasione di arricchimento professionale e umano, una prova non semplice ma assolutamente felice. L’ha portato a girare l’Italia, la Francia, l’America, a confrontarsi con la sapienza teatrale contemporanea e ad essere seduto accanto a me stanotte in questa bettola di cibo turco nel cuore di Shoreditch.

Ci racconta di come la reazione del pubblico sia sempre sorprendente. Le platee straniere seguono il testo tramite uno schermo che proietta la traduzione. Nonostante questo limite, l’accoglienza è sempre molto calorosa e le risate arrivano puntuali nei momenti attesi. L’esperienza ricorda vagamente quella delle compagnie capocomicali di giro, è sicuramente un’esperienza di successo per il teatro italiano.

Personalmente non mi avventuro nella giungla selvaggia e cattiva della traduzione dal napoletano all’inglese e mi godo le parole dette, una volta tanto ascoltando un suono madre, stasera mi verrebbe da dire padre.

Si perché per tutto il corso dello spettacolo c’è Eduardo seduto tra di noi. Me lo immagino sorridente e compiaciuto perché questo lavoro è un vero e proprio tributo, nell’accezione più nobile e meno museale di questo termine. Un padre culturale per me, per Vincenzo, ma stasera pure per l’inglese palliduccio seduto in prima fila. Si avverte la sua intenzione di trasmettere un messaggio.

Un’operazione scivolosa per gli intellettuali snob se non la si coglie nel modo a mio avviso più saggio e cioè come quel cenno dell’autore che troviamo nella conclusione delle favole di sempre nelle quali non smetteremo mai di rispecchiarci, una voce di dentro. Un capolavoro che l’abilità di questa compagnia innalza a classico della nostra cultura, vivo e vegeto.

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