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Cos’è il Ttip, l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti

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L’8 luglio il Parlamento Europeo ha fatto un altro passo in avanti verso la realizzazione del partenariato transatlantico fra l’Unione europea e gli Stati Uniti (Ttip): la risoluzione Lange approvata dall’aula contiene nuove direttive e raccomandazioni per la Commissione incaricata delle trattative col partner USA. Ma cosa prevede esattamente il Ttip? E a che punto sono i lavori per la sua realizzazione?

Cos’è il Ttip

Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) è un trattato internazionale il cui scopo è favorire il libero scambio tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America. L’idea di un progetto simile è nata nel 1995 da alcuni gruppi di interesse multinazionali, ma solo nel 2013 la proposta si è concretizzata con l’inizio delle trattative fra UE e USA per un testo comune finalizzato alla regolamentazione di questo nuovo potenziale mercato. Visti gli iniziali stretti vincoli di segretezza posti dalle parti sul contenuto del testo discusso, solo il 9 Ottobre del 2014 l’UE ha deciso di diffondere pubblicamente il mandato dato alla Commissione col quale sono iniziati i negoziati. Nei mesi successivi, sono poi trapelate diverse bozze, ottenute e pubblicate da diversi media internazionali, contenenti singole parti dell’accordo. Dopo le incessanti pressioni dell’opinione pubblica e di alcuni Governi nazionali, la Commissione europea ha messo a disposizioni dei cittadini un portale in cui è possibile trovare informazioni relative al Ttip e consultare alcuni testi su cui si stanno basando i negoziati, il tutto richiamando il principio della trasparenza.

Il Ttip prevede tre fondamentali aree di intervento: l’accesso al mercato, che comprende merci, servizi, investimenti e appalti pubblici con l’eliminazione dei dazi; l’abolizione degli ostacoli non tariffari, legati perciò a standard di qualità, quantità, regolamenti ed altri fattori tecnici; l’armonizzazione normativa, che prevede di uniformare la legislazione in materie specifiche di entrambe le parti. L’idea è quella di permettere ad un’impresa europea di poter operare in un qualunque Stato USA con la stessa libertà con cui lo farebbe in territorio comunitario, e viceversa. I settori coinvolti sarebbero i più disparati: si va dall’alimentare alla chimica, dalla cosmetica allingegneria, dai farmaci e medicinali passando per la comunicazione, fino agli automezzi o l’industria tessile. Altri ambiti che verrebbero rivoluzionati sarebbero quelli dell’energia e delle materie prime, per non parlare dello sviluppo sostenibile, della proprietà intellettuale, delle indicazioni geografiche e soprattutto della dimensione della concorrenza fra imprese.

Ttip: i pro

Se i negoziati dovessero andare in porto e si arrivasse all’approvazione di un trattato definitivo, USA e Unione Europea creerebbero il più grande Mercato Unico mondiale. L’obiettivo, in parte dichiarato, è quello di rispondere al crescente potere economico e finanziario della Cina, sempre alla ricerca di nuovi mercati in cui potersi espandere, e di difendere il dollaro come valuta di riferimento per gli scambi internazionali. Con l’abbattimento delle barriere allo scambio e l’uniformità normativa, il mercato unico USA-UE permetterebbe alle imprese dei rispettivi Paesi di espandersi in nuovi mercati senza costi eccessivi, aumentando in maniera esponenziale il bacino di potenziali consumatori. La destabilizzazione dei mercati locali dovuta alla concorrenza straniera sarebbe scongiurata grazie all’incredibile eterogeneità dell’offerta ed al canale privilegiato assicurato ai nostri prodotti nel mercato americano: pur aprendo le frontiere a concorrenti americani, le nostre imprese locali avrebbero la possibilità di andare a vendere i propri differenti prodotti in un mercato ricco e nuovo. I consumatori della Florida potrebbero, ad esempio, acquistare i prodotti di un artigiano emiliano senza vedersi addebitati esosi costi doganali. Lo stesso ragionamento vale in ambito industriale per le imprese: le acciaierie venete potrebbero vendere le proprie materie prime o semi-lavorati alle industrie americane preoccupandosi solo dei costi di trasporto, resi verosimilmente più accessibili grazie agli accordi del trattato. Secondo delle stime fatte nel 2013 dal Centro di ricerca politico-economica dell’Ue, il guadagno per il nostro continente sarà di 120 miliardi di dollari, con un aumento del Pil dello 0,5% entro il 2027, mentre per gli USA il guadagno sarà di 95 miliardi con un incremento dello 0,4% del Pil. Per quanto concerne il lavoro, le stesse stime prevedono un incremento di 15mila posti di lavoro in più ogni miliardo di guadagno.

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Ttip: i contro

Sono molte le associazioni di categoria originarie di diversi Stati UE e americane a portare avanti campagne contro l’approvazione del trattato. Sono addirittura nati comitati nazionali che promuovono diverse iniziative di informazione e sensibilizzazione contro l’accordo con l’appoggio di associazioni umanitarie o di volontari. Ma quali ambiguità vengono contestate al Ttip?

Tra i principali oppositori c’è l’associazione ambientalista Greenpeace, che scrive:

Questa trattativa, con la scusa di un’armonizzazione delle normative sul libero commercio, antepone il mercato e gli interessi privati a quelli della collettività e apre ad una riduzione degli standard sociali e ambientali.

Una delle principali critiche ai negoziati è la loro segretezza e mancanza di trasparenza: il fatto che solo le Commissioni incaricate delle parti incaricate abbiano accesso ai testi in discussione è un fatto ritenuto inaccettabile non solo dall’opinione pubblica, ma anche da molti parlamentari europei che più volte hanno manifestato la necessità di rendere pubblici e accessibili i contenuti nella loro interezza.

Inoltre, le stime presentate dai sostenitori del Ttip sono piuttosto generose secondo oppositori: un rapporto dell’Öfse, l’Austrian Foundation for Development Research, commissionato dai gruppi della Sinistra europea, mette in evidenza che i numeri presentati siano basati su presupposti imprecisi e poco realistici, con errori di metodo che non prendono in considerazione i reali rischi del trattato. Secondo questo studio, i benefici relativi all’accordo sarebbero da spalmare in 10-20 anni e il suo contributo per il superamento della crisi economica non sarebbe quindi rilevante nell’immediato.

Sempre secondo i detrattori dell’accordo, c’è poi un grosso nodo da sciogliere riguardo il ruolo dell’Investor State Dispute Settlement (ISDS): questo dovrebbe essere un meccanismo di risoluzione delle controversie fra imprese e Stati attraverso il quale, se un’impresa ritiene che alcuni vincoli nazionali violino quanto previsto dal trattato internazionale e queste restrizioni le producano dei danni, le imprese coinvolte hanno il diritto di citare l’amministrazione in un tribunale speciale costituito da un giudice deciso dall’impresa, uno deciso dallo Stato chiamato in causa e l’ultimo scelto dai due giudici già designati. Questa sorta di arbitrato scavalcherebbe l’autorità della magistratura nazionale, con la conseguente possibilità da parte delle imprese multinazionali di aggirare le legislazioni degli Stati a danno dei cittadini.

Alle controversie legate ai numeri e al sistema giudiziario, si aggiungono anche le critiche di merito di Public Citizen (associazione legata ai consumatori americani) e della Confédération générale du travail (associazione dei consumatori francese). Nel 2014 entrambe le associazioni, in due analisi distinte ma equivalenti nei contenuti, hanno messo in evidenza molte criticità legate alla nascita di un Mercato Unico con una normativa unificata secondo i criteri dati dal trattato. In particolare si evidenzia come l’armonizzazione delle norme possa essere fatta al ribasso, portando alla scomaprsa di diritti dei lavoratori o ad un forte pericolo di delocalizzazione incontrollata: ad esempio i paesi dell’UE hanno adottato interamente le normative dell’ILO (l’Organizzazione dell’ONU che si occupa di lavoro), mentre gli Stati Uniti hanno ratificato solo due delle otto norme fondamentali.

Secondo le stesse analisi, un altro rischio che si corre riguarda la ridefinizione degli standard di qualità dei prodotti e la sicurezza dei consumatori: in Europa vige il principio di precauzione, secondo il quale un prodotto viene immesso sul mercato solo dopo adeguati controlli e una valutazione dei pericoli e dei rischi per il consumatore, mentre negli Stati Uniti, per una serie di prodotti, la valutazione viene fatta in un secondo momento, con le imprese che si assumono consapevolmente il rischio di possibili ritorsioni legali e eventuali risarcimenti o indennizzi da versare ai consumatori. Vi sono poi diverse disposizioni relative agli OGM, all’uso di pesticidi, all’etichettatura del cibo, all’estrazione di gas o alla protezione dei brevetti farmaceutici su cui l’UE offre molte più tutele. Gli analisti si chiedono: in che verso la normativa verrà uniformata in questi casi?

Cos’è il Ttip: i protagonisti e l’approvazione

I lavori di negoziazione sono iniziati nel Giugno del 2013 e, da allora, i negoziatori ufficiali tra le parti sono Ignacio Garcia Bercero per l’UE e Dan Mullaney per gli Stati Uniti. A condurre i colloqui per conto dell’Unione Europea, è la direzione generale commercio della Commissione europea diretta da Cecilia Mallström. Dall’inizio dei colloqui, le parti si sono incontrate nove volte e dal prossimo 13 Luglio fino al 19 Luglio avrà luogo il 10° ciclo di incontri a Bruxelles. In vista di tale evento, lo scorso 8 Luglio il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione presentata dal parlamentare Bernd Lange. Il contenuto rinnova il mandato alla Commissione per continuare i negoziati, ma allo stesso tempo dà indicazioni da seguire riguardo i temi ritenuti più delicati dall’Aula, fra i quali:

– ISDS: il testo cita testualmente: “sostituire il sistema ISDS con un nuovo sistema per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati, che sia soggetto ai principi e al controllo democratici, nell’ambito del quale i possibili casi siano trattati in modo trasparente da giudici togati, nominati pubblicamente e indipendenti durante udienze pubbliche e che preveda un meccanismo di appello in grado di assicurare la coerenza delle sentenze e il rispetto della giurisdizione dei tribunali dell’Unione e degli Stati membri, e nell’ambito del quale gli interessi privati non possano compromettere gli obiettivi di interesse pubblico.”

OGM: il Parlamento Europeo esige che non ci sia “alcun accordo nei settori in cui l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno norme molto diverse, come ad esempio nel caso dei servizi sanitari pubblici, gli organismi geneticamente modificati, l’impiego di ormoni nel settore bovino, il regolamento REACH e la sua attuazione e la clonazione degli animali a scopo di allevamento”.

– I servizi pubblici: vi è poi un invito del Parlamento affinché le parti si impegnino ad escludere dal campo di applicazione del Ttip quelle aree che comprendono servizi d’interesse generale quali acqua, sanità, servizi sociali ed istruzione. Questo per lasciare nelle mani dei singoli Stati l’esclusività normative e di finanziamento per questi servizi fondamentali.

Entrambe le parti sperano di poter chiudere la fase dei negoziati il prima possibile. Una volta stilato un testo definitivo, questo sarà sottoposto alla votazione del Parlamento Europeo e del Congresso degli Stati Uniti con la sola fase di discussione, senza la possibilità di presentare gli emendamenti. Il trattato dovrà essere approvato da entrambi gli organi legislativi nella sua interezza, con la formula “prendere o lasciare”. L’obiettivo è quello di riuscire ad ottenere l’approvazione finale entro il 2015, per poi passare alla fase di attuazione già a cominciare dal prossimo anno. A questo punto sarà compito dei vari Governi dei vari Stati rendere attuabile il trattato attraverso le dovute iniziative legislative.

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