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Cécile Kyenge e la dignità perduta delle genti padane

cécile kyenge
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@Fare network

Ho provato a resistere il più possibile. Dai, di razzismo scrivono tutti ormai. E questo caso Kyenge ha stufato, sempre la solita solfa.

Oggi però ho raggiunto il limite. E mi tocca pure difendere un Ministro. Un potente. Oggetto di ristretti ma rumorosi fenomeni di razzismo da strada e da ieri anche di una ignobile campagna di istigazione all’odio e al razzismo da parte del quotidiano la Padania, che ha pubblicato l’agenda del Ministro dell’Integrazione come a dire “è lì che oggi potete insultarla”.

Istigare all’insulto mi sembra già di per sé una pratica antipatica, se poi l’insulto provocato non è per l’azione politica di un ministro, ma per la sfumatura del colore della sua pelle, allora la questione mi genera un disprezzo tale che faccio pure fatica a scriverne.

Provo ad alleggerire un attimo la mente immaginandomi qualche scenetta di simpatica goliardia gratuita contro alcune persone, sulla scia della campagna #coglioneNo (ma in qualche caso anche sì).

Roberto Maroni che viene riempito di fischi e uova marce ogni volta che entra al Pirellone con quegli inguardabili occhiali rossi. Lo faresti a qualcuno solo per gli occhiali che porta?

Umberto Bossi che viene riempito di insulti e sfottò per la paresi alla faccia che lo fa parlare male (spiace dirlo, Bossi, ma è la stessa cosa). Lo faresti a qualcuno per l’ictus che ha avuto? Non credo.

Matteo Salvini che viene preso a sassate tutte le volte che esce di casa perché sembra avere una faccia da babbeo. Lo faresti a qualcuno solo perché sembra un babbeo? Meglio che mi fermo prima che qualche volta rispondo sì.

Proprio Salvini, pensando che siamo tutti #coglioniSì, se ne salta fuori con una di quelle false ingenuità da premio Oscar sostenendo che non c’è niente di male a pubblicare un’agenda di un ministro, di per sé pubblica. Naturalmente viene fuori che la cosa è per nobili scopi informativi.

Tanto che oggi la Padania si produce in una mossa di una creatività sconcertante: pubblica l’agenda di Flavio Zanonato (“Ministro maschio e veneto”, sbotta tronfia la direttrice Aurora Lussana) per vedere se ci sarà la stessa indignazione. A volte mi chiedo sotto quale suola di quale scarpa sopravviva controvoglia la dignità di alcuni soggetti.

Il neo segretario della Lega Nord aggiunge che bisogna pur controllare cosa fa il Ministro con i soldi degli italiani. Naturalmente bisogna controllare solo un Ministro, uno a caso, un campione rappresentativo individuato in base a complesse procedure statistiche. Perché non pubblicare l’agenda di Enzo Moavero Milanesi (Ministro agli Affari Europei) per valutarne, come sobriamente nelle intenzioni de La Padania, l’adeguatezza degli spostamenti?

“La Kyenge non sa cos’è l’integrazione” irrompe Massimo Bitonci, capogruppo leghista al Senato, dall’alto della sua sapienza in materia. Ora, voglio dire, contesta la scelta di dedicare all’integrazione un Ministero, trova qualche pecca nel suo operato, dì che si veste sciatta, che ha un curriculum politico troppo acerbo, ma qua se c’è una che può saperne di integrazione sarà la Kyenge, no!

Cosa ne sa la De Girolamo di agricoltura? E la Lorenzin di sanità? E Calderoli di leggi elettorali?

Naturalmente la società è molto più avanzata di questo gruppuscolo di individui patologici che non hanno evidentemente niente di meglio da fare che seguire gli appuntamenti dell’agenda di Cécile Kyenge (forse il lavoro gliel’ha rubato qualche immigrato?). Gruppuscoli tra cui, per dovere di cronaca, annoveriamo, oltre a Forza Nuova, anche quei simpaticoni di Fratelli d’Italia. Eppure Giorgia Meloni sembra tanto carina, no?

Ci sono giorni, non lo nascondo, in cui vorrei che la Lega fosse inghiottita da un vortice di fango e che la bocca di chi insulta e ferisce in base alla sfumatura della pelle sia riempita per l’eternità di palle di melma cementificata.

Poi mi risveglio e penso che sarebbe troppo facile. Cécile Kyenge insiste sul tasto dei messaggi che si danno con il linguaggio, i progetti, le azioni. Mi sembra questa la strada. Purché ci sia anche il linguaggio dell’indignazione contro razzismi e odi personali camuffati, ipocritamente, da contestazione politica.

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