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Blue Jasmine

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Una commedia drammatica, il cui titolo è il nome di una pianta che allude a un nome di donna: Blue Jasmine, cioè “Gelsomino azzurro”. Uno di quei film che, partendo da orecchiabili ritornelli da commedia, virano verso gli striduli acuti del dolore.

Tale pregevole amalgama è ottenuto attraverso l’uso di flashback e l’alternanza dialogica delle due protagoniste, che presentano caratteri complementari. Se una è un personaggio simpaticamente inguaiato, con tratti comici e occhi bassi ma vispi, l’altra è un personaggio parodisticamente altolocato e tragico, che il regista privilegia per compassione, concedendogli lo spazio potente del monologo drammatico e un certo charme.

Le due protagoniste sono sorelle adottate, ma provenienti da geni diversi, che vivono in mondi diversi. Entrambe hanno un nome che è anche quello di una pianta: Ginger significa zenzero, Jasmine gelsomino. Ma apprendiamo che Jasmine in realtà si chiama Jeanette e si è cambiata il nome per sentirsi più chic, come Norma Jeane si cambia in Marilyn.

Lo zenzero non è una gran beltà, ma è una spezia e dà aroma. Il Gelsomino azzurro è un rampicante decorativo, ma senza profumo. Ginger è un po’ eccentrico-sciatta, complessata, finisce sempre con uomini ordinari un tantino scimmiotti, ma ha un che di esuberante. L’altra, decisamente bella, molla l’università per vivere nel lezioso mondo dell’upper class, lasciandosi rimbambire da tipi tutto fumo e niente arrosto, come il marito, che è un piacione disonesto, di professione finanziere. Un piccolo riferimento alla crisi?

In seguito al divorzio e alla psicosi di Jasmine, le due si ritrovano a vivere insieme recuperando il rapporto sororale e iniziando un sofferto processo di crescita. Ovviamente definire l’umore di Jasmine “blue” (triste) è un eufemismo. La poverina tenta di seguire le sue inclinazioni misurandosi per la prima volta con la crudezza della vita, scoprendo che nessuno ti dà niente per niente e che se hai un bel faccino cercheranno di sfruttarlo.

Intanto Ginger prova a chiarirsi le idee attraverso bollenti estasi sensorial-musicali con un tecnico del suono vagamente più bon ton del fidanzato, che però la usa; non tanto perché è sposato, quanto perché non glielo dice. Però se non altro ci ricava un simil i-pod come souvenir.

Avete presente la fiaba del Brutto anatroccolo? è la storia di quell’anatroccolo adottato da un’anatra che crede di essere brutto perché diverso dagli altri anatrini, e invece è un cigno. I temi sono l’identità e l’appartenenza. Se si sdoppia il cigno dall’anatroccolo, spunta una chiave di lettura. Jasmine gioca a fare la parte del cigno, l’altra quella del brutto anatroccolo; sembrano opposte, ma in realtà entrambe non hanno capito chi sono veramente, sono ingenue e non credono in se stesse: sono due pulcini bagnati.

Come in tutte le fiabe, alla fine si assiste a un ribaltamento delle apparenze. Jasmine reagisce alle sue frustrazioni accalappiando un altro uomo di apparenza, anche se meglio dell’ex (ci vuole poco). In ogni caso lei si brucia anche questa carta decidendo di mentire. Quando poi la verità viene a galla, eccola a parlare sola su una panchina, imbruttita.

Ginger, che è più viscerale e diretta nei sentimenti, alla fine ricava qualcosa di più sostanzioso: memorabile la scena in cui, in pieno supermercato, il suo tenero scimmione le chiede in lacrime di ritornare con lui; e non è poco.

[quote align=”center” color=”#999999″]Morale della favola?[/quote]
Dovendo proprio scegliere, meglio essere piccanti che decorative e, in ogni caso, scegliete di essere voi stesse.

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