Site icon Le Nius

Arte e sogno

Reading Time: 4 minutes

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni; e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. William Shakespeare, La Tempesta

Amo fluttuare, procedere per suggestioni date da versi così. La conoscenza per me segue l’andamento dei sogni e dei ricordi, concetti e nozioni sono solo un pretesto. Amo mettere insieme spunti diversi che affiorano in libertà, per parlare di noi. Così parlare della connessione tra arte e sogno per me significa parlare di ognuno di noi, perché tutti noi sogniamo e tutti noi potenzialmente possiamo fare arte.

Il legame tra arte e sogno è intuitivo, evidente ovunque la soggettività dell’artista si esprima senza filtri attraverso immagini. Si pensi a immagini pittoriche, ma anche a rappresentazioni teatrali, o alla trama di immagini di un testo letterario. Spesso il tema del sogno è dichiarato, programmatico, come per i surrealisti o per Alice nel paese delle meraviglie.

Tuttavia, in molte opere contemporanee l’influenza del sogno rimane sotterranea, perché la loro priorità è esprimere concetti che stimolino l’intelletto. In questo caso il sogno filtra attraverso l’aspirazione a rompere il nostro sguardo convenzionale sulle cose, per individuare nuove vie e incidere nella realtà, arrivando a mettere in discussione gli stessi limiti di ciò che è arte.

Molto spesso si sente parlare di immaginario, di fantasia, come se l’arte fosse la creazione dal nulla di qualcosa di totalmente nuovo, “nuovo” soprattutto perché distante o non presente nella realtà. Questa è anche la dimensione dell’utopia, che esprime l’aspirazione a un ideale di realtà, che però non esiste in “nessun luogo”.

Eppure il materiale di partenza per produrre arte non è mai del tutto nuovo e lo possediamo tutti, anche se è unico. Quello che rende una creazione qualcosa che sembra nuovo, nel senso di originale, è il modo in cui l’opera viene assemblata: lo sguardo dell’artista e la sua abilità espressiva tradotta in un linguaggio (o più linguaggi insieme) che crea dei significati.

Il materiale di partenza è costituito dai nostri ricordi, che vengono fissati e riorganizzati durante il sonno tramite i sogni. Infatti, c’è una relazione precisa tra il ricordo e il sogno: i ricordi non si formano quando siamo svegli, bensì si fissano quando dormiamo. Ciò che li organizza è il sogno, in una specie di reset per immagini. Cioè è sognare che ci permette di rielaborare e conservare i ricordi, rielaborazione della nostra storia che viene continuamente riscritta attraverso scene e immagini camuffate.

Secondo Thorsten Schafer in Fisiologia del sonno (“Mente e cervello” N.70, ottobre 2010), l’evoluzione delle teorie oniriche è segnata da tre contributi fondamentali: nel 1900 Freud dice che impulsi oscuri dell’inconscio si manifestano attraverso i sogni, nascosti in forma simbolica. A fine anni ’70 Hobson e McCarley dichiarano che nella fase REM le cellule nervose del tronco cerebrale attivano in modo casuale i contenuti della memoria e le emozioni. Il sogno è un tentativo della corteccia cerebrale di dare un senso a questi frammenti di ricordi. Oggi Mark Solms sostiene che i sogni implicano una stretta collaborazione delle aree del cervello, come nelle esperienze vissute.

Inoltre, secondo la psicanalista Manuela Tartari (ospite del seminario di antropologia dell’arte dell’antropologo Carlo Severi, Università IUAV di Venezia, 2010), un evento attiva una percezione che ha lasciato una traccia nella memoria. Nel conscio si cerca di dare un ordine a queste tracce mediante rappresentazioni mentali di parole. Nella rielaborazione onirica le tracce percettive si raccolgono in immagini mentali che si organizzano per condensazione e per spostamento (assemblaggio casuale di frammenti di esperienze percettive, spesso visualizzati come pezzi di corpo: cioè camouflage). Quindi un sogno è un linguaggio in codice travestito con il preciso scopo di risolvere tensioni. Quando il meccanismo di travestimento è difettoso avviene l’incubo, che ci costringe a svegliarci.

Secondo Carlo Severi, nel corso della storia il pensiero visivo primitivo è stato soppiantato da quello verbale, ma in origine vi erano caratteristiche comuni a tutto il genere umano: gli studi antropologici rivelano che non c’era nessuna separazione tra immagini, musica o parole, ma commistione tra questi, come le tracce percettive su cui si basano i sogni.

In particolare i sogni e le arti visive si basano sul linguaggio analogico, che ha tre caratteristiche: l’assenza di categorie spazio-temporali, della negazione, e del principio di casualità; cioè nei sogni ci sono solo giustapposizioni tra cose, non legate da un filo logico, ma accostate per analogia. Dunque, il pensiero iconico, come il sogno, denota una comunicazione tra conscio e inconscio.
Perciò per Severi l’antropologia dell’arte è un’antropologia della memoria e il sogno è ri-creativo per l’individuo, lo rigenera, così come (come sostiene Victor Turner in Antropologia della performance) l’arte e il rito sono esperienze trasformative.

Da tutto ciò si desume che tutti noi abbiamo dentro delle immagini, archiviate nel grande museo della memoria, anche se non tutti le traduciamo all’esterno in opere d’arte. Queste immagini danno corpo ai ricordi, che man mano prendono forma e ci rigenerano, in un incessante gioco di rimandi tra la vita e il sogno, tra il sogno e la vita.

Immagini / Johann Heinrich Fussli, L’Incubo, 1781
René Magritte, La filosofia nel Boudoir, 1954
Salvador Dalì, Sogno causato dal volo di un’ape, 1944

CONDIVIDI
Exit mobile version