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Ammettere di aver perso: un tabù calcistico

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1 X 2. L’osservazione empirica della realtà ci dice che l’esito di una partita di calcio ha queste sole tre opzioni: vittoria, pareggio, sconfitta. E allora perché i dibattiti seguenti durano così tanto? Se ci capito in mezzo mi stupisco sempre di quante parole inutili si possano versare su un fatto così privo di interpretazioni come il risultato di una partita.

Quindi ho provato a seguirli con più attenzione per evitare di dare giudizi affrettati. E ho capito che il vero scopo dei commenti post match è infierire con eleganza sullo sconfitto. Metterlo sulla graticola. Trafiggerlo con domande scomode come in un terzo tempo dello scontro, in cui chi ha perso deve cercare di tenere alti dignità e orgoglio. Forse è anche per questo che si dice che il calcio sia metafora della vita: perché gli stronzi godono sempre ad infierire.

Amettiamolo, l’occasione è ghiotta. Chi non avrebbe approfittato dell’opportunità di fare alcune domande scomode a Napoleone dopo Waterloo o a Jennifer Aniston dopo che Brad Pitt l’ha mollata per Angelina Jolie?

Sappiamo che di fronte ad una personale sconfitta, l’umanità si divide in due grandi gruppi: chi tende ad assumersi le proprie responsabilità e chi, invece, per indole, tende a scaricarla sugli altri. Purtroppo, il secondo gruppo nel calcio è dominante, se non addirittura vincente. Le sconfitte sono sempre imputabili a qualcos’altro, innanzi tutto al giudice di gara, di cui spesso si critica la malafede.

Per lo sconfitto, la svista arbitrale non rientra mai nella normale casistica dell’errore umano, ma è quasi sempre interessata, venduta, corrotta. Questo discorso in realtà vale un po’ per tutti: in generale l’errore arbitrale è in buona fede solo se ci giova. Anche il campo da gioco incide sulle scarse prestazioni dello sconfitto: troppa neve, troppo caldo, troppa acqua, poco verde. La palla che non voleva entrare in rete o, in alternativa, il palo, onnipresente, totem imbattibile della fortuna. In casi particolarmente gravi, l’intervistato osa affermare che il risultato non è importante, perché conta la mentalità vincente in crescita di una squadra che ha appena perso 4 a 1.

Insomma, formule sempre uguali. Tanto che quando ti capita di ascoltare: “Complimenti agli avversari e in bocca al lupo per la finale” quasi ti commuovi. Come quando ti trovi davanti agli sbadati cronici, che nella loro esistenza hanno perso almeno tre cellulari, un paio di lettori mp3, poco meno di 390 euro, tantissimi libri, uno zaino con un telo da mare, un paio di stivali, molte chiavi. E continuano a dire che li hanno persi e non che sono stati derubati. Caricandosi addosso tutta la responsabilità, senza addossarla a qualche ladro in incognito. Una cosa bellissima. Ammettere di aver perso, dico.

Immagine|asromaultras.org

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