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3 opportunità per migliorare l’educazione in Italia

3 opportunità per migliorare l'educazione in italia
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I passi da compiere per migliorare asili e scuole italiane sono ancora molti, ed è per questo che ci tengo a promuovere 3 opportunità per migliorare l’educazione in Italia. Partiamo da alcuni dati che ci mostrano una situazione impietosa, per quanto parziale:

1. il 17,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni sono in possesso della sola licenza media (i cosiddetti early school leavers) e nell’Europa a 27 solo in Spagna e Portogallo troviamo dati peggiori.

2. Le nostre scuole cadono a pezzi: degli oltre 41.000 edifici scolastici statali, 3.600 necessitano di interventi sulle strutture portanti (e 580.000 ragazzi vi trascorrono ogni giorno parecchie ore).

3. Solo 1 bambino su 5 ha accesso ad un servizio educativo alla prima infanzia (nidi d’infanzia e altri servizi per bambini 0-3 anni), contro l’obiettivo europeo stabilito dalla Strategia di Lisbona di 1 bambino su 3.

Potrei proseguire nell’elenco di cose che non funzionano, soffermarmi sulle misure prese (ma soprattutto non prese) dai governi degli ultimi anni e infine dilungarmi sugli interventi di edilizia scolastica promessi dal governo attuale. La sensazione è che le cose miglioreranno veramente solo nel momento in cui ci metteremo la faccia noi cittadini, oltre che il Presidente del Consiglio. Quindi vi faccio tre proposte che vanno in questa direzione: un libro, un evento, una ricerca.

3 opportunità per migliorare l’educazione in Italia

1. Il libro si intitola La scuola di Lucignolo ed è scritto da Francesco Dell’Oro, per molti anni responsabile del Servizio orientamento scolastico del Comune di Milano. Concretamente è stato il motivatore per molti adolescenti alle prese con le proprie scelte formative che a quell’età, se prese con superficialità, rischiano di portare al fallimento del percorso di studi e di far rientrare i ragazzi nelle statistiche degli early school leavers riportate sopra. Nel suo libro, così come nella sua esperienza concreta, Dell’Oro affronta con ironia ed estrema sensibilità un’idea di scuola basata sull’ascolto continuo delle “anime belle” (così chiama i suoi quindicenni) da parte di insegnati e genitori, troppo legati ad un sistema educativo rigido e che non è oggi in grado di rispondere alle sfide della modernità.

2. L’evento è il lancio del Forum Nazionale delle Scuole Aperte, lunedì 16 giugno presso l’Auditorium dell’Istituto G. Cardano di Milano, promosso da Vita e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con Comune di Milano e Anci. Il forum intende valorizzare il patrimonio immobiliare a disposizione delle scuole, promuovendo l’utilizzo degli edifici scolastici al di fuori dell’orario didattico, con formule varie quali corsi di musica e di inglese in orario pomeridiano, apertura dei cortili per i bambini del quartiere, utilizzo dei locali come sede per le associazioni di genitori, impegnate a vario titolo nella scuola (una delle esperienze sempre più frequenti è quella della manutenzione ordinaria partecipata degli istituti scolastici). È già stato redatto un Manifesto del Forum, che elenca quali sono gli elementi essenziali per “passare da una Scuola Aperta come eccezione alla Scuola Aperta come modello”.

3. La ricerca, per i più audaci e per gli interessati all’educazione dei piccolissimi: si tratta di un’indagine realizzata dall’Istituto degli Innocenti di Firenze, su commissione della Fondazione Aiutare i bambini. Si intitola Buone volontà utili per costruire qualità e sviluppo sostenibile nei nidi e mette a confronto un campione di nidi d’infanzia gestiti dal terzo settore con uno di nidi a gestione pubblica, valutandone i costi e la qualità. All’interno del dibattito sui modelli sostenibili di welfare, la ricerca fornisce una descrizione di servizi per la prima infanzia pubblici e privati che, a parità di qualità, vedono costi sensibilmente più alti nei primi. Due elementi che caratterizzano i nidi del privato sociale sono la maggiore ampiezza degli orari e giorni di apertura e l’utilizzo di personale volontario all’interno dei servizi. La ricerca non intende mettere in cattiva luce uno dei due modelli ma favorire la contaminazione e lo scambio di buone prassi tra pubblico e privato.

Immagine | Pink Sherbet Photography

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