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10 canzoni malinconiche per cuori nostalgici

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E vissero tutti felici e contenti.

Le storie che ci raccontavano da bambini finivano tutte, inevitabilmente, con la frase qui sopra riportata: ovviamente dopo le grandi disgrazie e le svariate pene subite dai protagonisti. Questa beatitudine diventava uno stato definitivo e a tempo indeterminato, in qualche modo possibile, da raggiungere magari dopo avere trovato il proprio Principe Azzurro o la propria Principessa. Il messaggio è ancora vivo nella nostra memoria: ma siamo sicuri sia la cosa migliore che ci può capitare?

No, ovviamente. Perché una vita tutta appagante e radiosa ci apparirebbe, come minimo, un po’ noiosa. In una vita in cui ci viene riservata la nostra dose di bello e di brutto, di fortuna e sfortuna, sono molto più rilevanti, belli e stimolanti i piccoli momenti di felicità, sicuramente più alla nostra portata. In sostanza, nessuno, a parte Biancaneve e Cenerentola, può conoscere la felicità assoluta e pervasiva; al contrario, tutti (anche le suddette) conosceranno, nel corso della loro esistenza, la malinconia.

Anche Biancaneve ci sarà passata, quando, trasferitasi nel castello gigante del suo amato Principe Azzurro, ritrovò una foto con i suoi sette nanetti, vecchi amici. Perché la malinconia è sostanzialmente il quadro mentale di un passato in cui siamo stati felici, ed è allo stesso tempo un sentimento bello e terribile: bellissimo perché ricordiamo persone, luoghi, profumi che ci hanno fatto stare bene e terribile perché ci vuole un attimo e un niente per cascarci dentro. E può creare dipendenza.

La malinconia è anche una forma di convalescenza, una sorta di purificazione: è un momento di quasi-tristezza indispensabile per l’equilibrio delle emozioni, che va gestito, assecondato e non contrastato, affinché diventi il segnale di qualcosa che non funziona più in modo perfetto nel presente e che quindi ci spinga alla ricerca di un nuovo equilibrio più maturo. Più della felicità, questo stato d’animo di vaga tristezza può diventare punto di partenza per cambiare e creare qualcosa di positivo. Possiamo andare oltre la malinconia, renderla creativa per venirne fuori: un dipinto, una danza, una canzone che metta in parole e in musica i nostri sentimenti. Musica, appunto. I migliori artisti del panorama musicale italiano sono molto malinconici e creativi e noi possiamo leccarci le ferite e crogiolarci nel nostro stato di cupezza riascoltando queste 10 canzoni malinconicissime. Buon ascolto!

1. Francesco Guccini – Farewell


Farewell ha la magica capacità di farti sentire la nostalgia dei tuoi vent’anni, anche se di anni ne hai ancora 14. È un inno alla giovinezza che si fugge tuttavia, allo stupore del primo amore adulto, all’inevitabile conclusione dell’una e dell’altra. Se De Gregori è ermetico, Guccini è il trionfo del realismo: così ci sembra quasi di essere noi i protagonisti di questo breve tratto di esistenza fatto di serata al bar con tavoli pieni di vino, il buffo montone orientale di Guccini, Bologna avvolta nella nebbia della notte. E se non bastasse il contesto a renderci malinconici, ecco che Guccini ci sferra un ultimo attacco:

forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile, credo, perché ogni volta che piangi che ridi, non piangi e non ridi con me.

2. Daniele Silvestri – Acqua Stagnante


S.C.O.T.C.H., l’album di Daniele Silvestri uscito nel 2011 è pieno di pezzi malinconici. Breve excursus nel sempre succulento mondo del gossip: in quel periodo Daniele aveva interrotto la relazione con la sua storica compagna Simona Cavallari, per iniziarne una nuova con l’attuale moglie. Il suo malessere ha generato delle canzoni pazzesche, proprio come questa. ‘Acqua Stagnante’ descrive il sentimento che può spingere a interrompere un rapporto per non sentirne più la responsabilità, nell’illusione che la solitudine ci renda veramente liberi. Si applica bene a un rapporto genitori-figli, ma altrettanto bene a un rapporto di coppia, soprattutto per descrivere un certo “prolungamento dell’adolescenza” tipicamente maschile. Perché questa canzone altro non è che un discorso di una donna a un uomo che sfugge volutamente alle implicazioni di una possibile relazione.

3. Fabrizio de Andrè – Il suonatore Jones


Il famoso suonatore di flauto, tratto dalla penna di Lee Masters e restituito vivo dalla voce e dalla musica di De André, è uno che in vita – e pure in morte – ha ceduto poco alla malinconia. Perché sapeva vedere in un vortice di polvere il movimento della gonna di Jenny mentre ballava in una danza antica. Perché preferiva alle terre coltivate il suono libero del suo flauto. Perché ha offerto “la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero/non al denaro, non all’amore nel cielo”. E quindi? Quindi la malinconia è la nostra. Dov’è finito il suonatore Jones che è in noi?

4. Afterhours – Non voglio ritrovare il tuo nome


Il nuovo singolo delgli Afterhours chiarisce già dai primi versi che non siamo proprio in presenza di un inno alla gioia di vivere. Eppure ‘Folfiri o Folfox’ è un disco di morte e di rinascita, perché il dolore se non ti annienta ti fa trovare energie che non pensavi di avere. In questo caso si parla di un amore che sembrava potesse essere immortale e che – non ci credereste mai! – è finito. Manuel Agnelli cerca per ben 4 minuti e 16 secondi di autoconvincersi di aver dimenticato tutto, in quella scelta volontaria di non voler ritrovare il nome della donna dagli occhi blu che è andata via. Non stiamo qui a sottolineare che averci fatto una canzone non indica una completa guarigione.

Scava sotto i buoni c’è un cadavere, sotto i cattivi un angelo ucciso da un’idea

5. Lucio Battisti – Vendo casa


Il testo del 1971, pensato da Mogol con uno stile estremamente evocativo, fu affidata solo in un secondo momento a Lucio, che la interpretò magistralmente. Il pezzo è breve e sintetico ma rende perfettamente l’idea del disfacimento interiore del protagonista, usando appunto la metafora della casa lasciata in balia delle noncuranze e dell’avanzare inesorabile del tempo. Un invito al suicidio o, in alternativa, una buona spinta per prendere in mano il mocio.

6. Modena City Ramblers – In un giorno di pioggia


In un giorno di pioggia parla di Irlanda, di amore e lontananza. Il brano si apre con una voce femminile che canta in gaelico: parla di una “vedova bianca”, con suo marito in esilio per via della guerra, che non trova felicità o riposo da quando il suo amore è partito. Così, l’Irlanda ha il volto di una donna: il protagonista ha il dolore dell’addio a quella donna, dai fianchi robusti di una vecchia signora e dai modi un po’ rudi della gente di mare che in un giorno di pioggia aveva imparato ad amare e lo aveva portato via e, come tutti gli esuli, immagina di tornare per poter consolare i suoi occhi bagnati.

7. Ermal Meta – A parte te


Una ballad tutta nuova, un arrangiamento particolare e interessante, arricchito da una sezione di fiati e da una voce che non si sforza, ma semplicemente suona. Intensa, intima, autobiografica, quasi ipnotica: racconta come in un film il ricordo di una persona che non c’è più e di un sentimento indimenticabile che li ha legati: se fossi ancora qui con me ti farei vedere io che la lezione d’amore che mi hai insegnato io l’ho imparata bene. Il contesto si fa reale e tangibile, come se lo si vedesse realmente passeggiare per le strade di un paese piccolino in cui ogni angolo regala un ricordo e un brivido.

8. Tiromancino – La descrizione di un attimo


Il passato che ritorna e si fa presente in un attimo, la penna di Riccardo Sinigallia non lascia scampo: qui c’è da essere malinconici per forza. I protagonisti si rincontrano dopo cinque anni, e, nel ricordo della loro relazione molto intensa, si lasciano tentare dalla pazzie di rimettere tutto in discussione. Decidono che sarebbe molto più facile rincontrarsi nei pensieri e lasciare le cose come stanno, pur essendo certi che, nella descrizione di quell’attimo, proveranno un’emozione fortissima che non si cancellerà.

9 Francesco De Gregori – Rimmel

https://www.youtube.com/watch?v=1qvDk_kNPP4
La canzone che racconta nella maniera più postmoderna possibile la fine di un amore. Probabilmente il ventenne De Gregori, mentre cercava metafore ermetiche per raccontare lo strazio di un addio, non avrebbe mai pensato che una persona a caso, tipo me a 16 anni, si sarebbe trovata qualche decennio dopo a riscrivere quei versi con un pennarello Carioca arancione su una Smemo deformata.
E ora, che un po’ di anni sono passati, sogno ancora di aprire una relazione con qualcuno per poi chiuderla così:
Esterno giorno, vento che passa sul mio collo di pelliccia e sulla mia persona.
Io: – Ce l’hai ancora quella foto in cui sorridevo e non guardavo?
Lui: Sì (senza capire)
Io: È tutto quello che hai di me.
Lui: È tutto quello che ho di te. (Capisce, afferma, va via).
E basta. Addio. Chiuso. Stop. Tieniti quella foto. Basta coi post vendicativi su Facebook. Basta con i riti vudù contro la tua nuova fidanzata. Era tutto più facile nel 1975: qualcosa rimaneva tra le pagine chiare e la pagine scure, si confondevano alibi e ragioni di uno e dell’altra, e le labbra, le labbra si spedivano ad un indirizzo nuovo.
Dai, lasciamoci tutti.

10. Franco Battiato – Prospettiva Nevskij


Io modestamente ritengo che una via che porti il nome di Prospettiva Nevsky meriti una celebrazione e mi sa proprio che Franco Battiato era d’accordo con me. La dolce melodia del brano riesce a farci provare una malinconia indicibile non solo per alcuni misteriosi esponenti delle avanguardie russe tra cui Nijinski, Stravinskij, ma anche per i film chilometrici di Eisenstein (autore, tra l’altro, dell’indimenticata Corazzata Potemkin di fantozziana memoria). Tanto che cullati da questa ipnotica nenia ci sorprendiamo a domandarci: perché non ho ancora guardato l’intera filmografia del cinema d’avanguardia russo? Perché non sono nato durante la Rivoluzione di Ottobre? Perché si è perso l’uso degli orinali sotto il letto per la notte?

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