Volo Nove zero tre. Emil Zàtopek: il viaggio di un atleta4 min read

16 Aprile 2014 Cultura -

Volo Nove zero tre. Emil Zàtopek: il viaggio di un atleta4 min read

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ComoIl teatro non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me” diceva Grotowski. E io mi sento di aggiungere che spesso serve a superare ostacoli, quali il tempo e lo spazio, per farci conoscere una storia o un personaggio, attraverso un linguaggio perfezionato dall’arte, che altrimenti non avremmo mai scoperto.

Prima di andare a vedere Volo Nove zero tre. Emil Zàtopek: il viaggio di un atleta scritto da Maddalenza Mazzocut-Mis (docente di estetica all’Università statale di Milano, istituzione che per altro ha collaborato alla produzione dello spettacolo stesso) e portato in scena dalla compagnia ArteVOX al Piccolo Teatro Studio, non sapevo nemmeno chi fosse Emil Zàtopek (1922-2000).

Volo Nove zero tre Emil Zàtopek il viaggio di un atletaSoprannominato “la locomotiva umana” per quel modo privo di stile ma pieno di forza col quale correva, sbandando, ansimando e stridendo con la lingua penzoloni, è stato un corridore cecoslovacco che ai Giochi Olimpici di Helsinki del 1952 ha vinto 3 medaglie d’oro – e conseguito 3 record mondiali – nei 5000 metri, 10000 metri e nella maratona.

Inizialmente utile a tenere alta la bandiera del proprio paese e dei suoi ideali socialisti, è stato ben presto vittima di quel regime che lo ha prima confinato in Siberia ai lavori forzati in una miniera di Uranio, e poi, una volta rientrato in patria, costretto a lavorare in strada come netturbino.

La sua colpa? Quella di essersi distinto per il suo eccezionale talento in campo e quella di aver firmato il Manifesto delle Duemila Parole durante la Primavera di Praga del 1968, schierandosi in favore di un cambiamento, in senso più umano, di quel socialismo che continuava a reprimere la libertà di espressione del singolo per il bene della bandiera.

Ed è così che Volo nove zero tre ci parla di un grande atleta, ma anche del rapporto esistente tra sport e politica, che ha finito col condizionare la sua vita. E lo fa mettendoci a bordo pista, proponendoci una fruizione a tutto tondo dello spettacolo (ideale per un teatro strutturalmente malleabile come lo Studio), ad assistere alla corsa di una vita di un uomo che, pur messo in difficoltà dagli eventi, non ha mai smesso di amare quel che sapeva fare.

Stefano Annoni e Daniele Gaggianesi riper-corrono (nel vero senso della parola) in 55 minuti i momenti salienti della vita di quest’uomo, inscenando una sorta di processo onirico, fatto di rigidi allenamenti, corse e conseguenti vittorie, ma anche di delusioni, sofferenze e ingiustizie, catapultando lo spettatore da un’arena a una pista da corsa, allo stadio olimpico, sino a finire semplicemente sulla strada, a correre tra un sacco della spazzatura e l’altro.

Una regia semplicistica quella di Massimiliano Speziani che fa dello spazio teatrale – trasformato qui in anfiteatro per poter essere usato in modo circolare – l’unico ma fortissimo elemento scenografico di uno spettacolo che è di narrazione, e permette allo spettatore di entrare a far parte della scena stessa, come pubblico silente e impotente il cui ruolo è solo quello di assistere, catturato da un testo incalzante che lo tiene incollato alla scena.

Immediato è stato per me il rimando alle recenti Olimpiadi Invernali di Sochi, un esempio a noi più vicino di come ancora la politica possa influenzare le grandi competizioni sportive: basti pensare a tutta la polemica nata durante i giochi contro la legge omofoba approvata in Russia nel 2013 di cui, in effetti, siamo stati testimoni silenti.

Ma immediata è stata anche una riflessione sull’attuale percezione della figura degli atleti italiani: spesso molto prima di ricordare i loro successi sportivi li identifichiamo come personaggi dello spettacolo, protagonisti del gossip nostrano per paternità attribuite e mai confermate, crisi coniugali, triangoli amorosi o vita sessuale piuttosto ambigua. Poi certo, se sono reduci dalla vittoria ai mondiali o hanno recentemente guadagnato un oro alle Olimpiadi, ecco che diventano anche eroi nazionali, sollecitando il nostro spirito patriottico altrimenti dormiente e un nuovo interesse per le specialità sportive più sconosciute.

Se Zàtopek è stato vittima delle sue grandi capacità, impossibili da normalizzare e da minimizzare a un pugno di record e medaglie appese al collo della sua nazione, i nostri atleti restano per noi degli individui, delle grandi personalità (celebrità?) che si sono distinte da altri per il loro immenso talento.

Volo Nove zero tre. Emil Zàtopek: il viaggio di un atleta, Piccolo Teatro Studio, sino a giovedì 17 aprile.

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A 10 anni ripetevo le formule magiche delle mie eroine dei cartoni animati credendo che mi sarei trasformata in qualcuno. Ma non è mai successo. Poi ho iniziato col teatro: mi commuovevo per gli attori. Ho creduto che avrei fatto quel mestiere. Ma non è mai successo. Dopo una laurea in Beni culturali e una specializzazione alla Paolo Grassi, vedo tutti gli spettacoli teatrali e dopo fatico a tornare in me. E questo succede sempre.
1 Commenti
  1. stefano annoni

    grazie per queste riflessioni, sono per noi il risultato più grande mi permetto solo di puntualizzare che la regia è semplice e non semplicistica... grazie stefano annoni

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