Tutti in video? Presente e futuro del video conferencing in Italia8 min read

1 Luglio 2020 Comunicazione -

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Sociologa politica

Tutti in video? Presente e futuro del video conferencing in Italia8 min read

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Durante il lockdown, molte delle attività lavorative, educative e relazionali sono state possibili grazie al supporto del video conferencing, ovvero dell’utilizzo di piattaforme di video conferenza in grado di trasmettere live audio e video tra gruppi di utenti definiti dalla condivisione di un link e di un orario dedicati all’incontro.

Riunioni politico-istituzionali a livello globale, incontri di lavoro tra colleghi e sessioni di laurea, lezioni di inglese e di danza per bambini, video-aperitivi di gruppo da remoto, sedute di workout per sportivi sono passati attraverso il filtro di un pc, un tablet, uno smartphone e una connessione di video conferenza in rete tra utenti.

Per molti si è trattato di una novità, per altri utenti, già più digitali, è stata solo una conferma delle possibilità che la rete offre per tagliare le distanze e i costi, impiegando la tecnologia digitale come un ponte per superare le difficoltà della chiusura imposta dalla pandemia.

In questo articolo mettiamo in luce le caratteristiche, le finalità e gli usi degli strumenti di video conferencing, forniamo alcuni dati circa la diffusione di tali strumenti durante la fase della pandemia, e alcune considerazioni sugli impieghi sociali nel presente e per possibili sviluppi futuri.

conte videoconferenza
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Il video conferencing dalla nascita al lockdown

Il sistema di video conferencing è un modello di comunicazione live, mediante video e audio, tra due o più soggetti che si trovano in località diverse, con le più differenti finalità sociali, quali lavoro, didattica, svago. La possibilità di effettuare riunioni telematiche in audio e video tra più soggetti viene resa disponibile da un sistema di piattaforme di videostreaming, in grado di sostenere tecnicamente questo sistema di video riunione da remoto.

I primi passi del video conferencing di massa risalgono agli anni duemila, tramite servizi internet gratuiti come Skype e iChat. Si tratta dei primi modelli di piattaforma che supportano gli standard video e telecomunicazione online, con costi bassi o nulli, adatti ad ogni pc dotato di una connessione ad internet.

Con i rapidi miglioramenti tecnologici, la videotelefonia si è propagata attraverso la diffusione di massa dei telefoni cellulari abilitati ai video, la universale diffusione di webcam per personali computer e dispositivi portatili.

Dal 2010 in poi, le videoconferenze diventano uno strumento popolare e diffuso, soprattutto in ambiti e settori specifici, come la ricerca scientifica o le comunicazioni interaziendali tra casa madre e rami controllati di aziende multinazionali operanti sul territorio globale.

Il lockdown ha rappresentato un’occasione straordinaria per ampliare il pubblico di beneficiari di tali strumenti, che passano da un uso lavorativo ad una pluralità di occasioni di utilizzo e impiego: istituzionali, relazionali, scientifici, pedagogici, legati al divertimento. E in effetti abbiamo assistito a un vero e proprio boom del video conferencing in Italia.

Secondo una ricerca recente, la piattaforma Zoom è stata scaricata 55 volte più della media dell’ultimo trimestre del 2019 in Italia; Google Meet è cresciuta 140 volte sopra la media, mentre Microsoft Teams è stata installata su dispositivi 30 volte più del solito. Ma anche l’app riservata al divertimento per eccellenza, Houseparty, è cresciuta di 423 volte rispetto all’ultimo trimestre del 2019.

Sintomo che gli italiani, in misura maggiore rispetto al trend mondiale (che aveva visto la diffusione di tali strumenti già da un paio di anni), hanno iniziato ad utilizzare questi strumenti in modo forzato durante la pandemia, per lo smartworking, per tenere vive le relazioni con familiari e amici, per dare continuità alla didattica e ad ogni altra attività sociale che richiedesse di essere “uniti ma a distanza”. Resta da valutare quale possano essere gli usi che gli utenti ne fanno e da considerare l’impatto futuro sulla dieta mediatica dei fruitori di altri strumenti e canali di comunicazione.

Gli usi sociali delle piattaforme di video conferencing nel lockdown

Durante la fase peggiore della pandemia, le immagini di pazienti in terapia intensiva che riuscivano ad effettuare videochiamate ai propri familiari mediante app su dispositivi mobili hanno avuto un impatto molto significativo sull’opinione pubblica.

Il pensiero che le nuove tecnologie digitali potessero superare le distanze di spazio imposte dalla pandemia e regalare quella vicinanza necessaria per un ultimo saluto ad un caro o per la rassicurazione sulle condizioni di salute ha consentito a molti di valutare in termini molto favorevoli l’impatto della tecnologia mobile sulle vite delle persone.

Una riflessione che si potrebbe allargare, sulla base di parametri e prospettive diverse, anche all’impatto del video conferencing sulle vite di chi, nella pandemia, ha sperimentato la chiusura in casa e la ricollocazione di tutte le ordinarie attività dentro al recinto dello spazio domestico. Ne avevamo già scritto qui, con riferimento ai social network.

Lavorare tramite piattaforme da casa, secondo le modalità di riunione di team da remoto, ha manifestato una serie di vantaggi non indifferenti per aziende e amministrazioni che hanno sperimentato questa modalità: riduzione dei costi legati alle utenze dei posti di lavoro, azzeramento delle spese di missione del personale, pur in continuità dell’attività lavorativa, nelle condizioni di ridotta operatività per il provvedimento di lockdown.

Alcuni vantaggi economici, ambientali e sociali hanno riguardato anche i lavoratori (ma spesso non le lavoratrici): minor tempo speso negli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro, riduzione dei costi fissi legati alla presenza in ufficio o in trasferta, minor impatto ambientale sulle risorse naturali, assenza di traffico. L’uso del video conferencing come strumento per il lavoro agile, insomma, presenta una serie di esternalità positive tanto per imprese e amministrazioni quanto per i lavoratori.

video conferencing in italia

Tuttavia occorre riflettere anche sui limiti che tale costante presenza di fronte ad un video, con riunioni con colleghi diversi, dislocati nella stessa città, in altre regioni, o in altri stati possa avere sulla salute fisica e mentale dei lavoratori: sedentarietà della prestazione lavorativa: affaticamento, fisico e psicologico, da prestazione in collegamento, spesso con inconvenienti tecnici dovuti a connessione o attrezzature insufficienti; accavallarsi di riunioni, anche su temi non primari in termini di performance, perché tanto lo strumento è gratis e disponibile per tutti in qualunque momento.

Un overload di riunioni in video conferenza che non trova riscontro sulla reale programmazione di tali attività all’interno di una normale e sistematica organizzazione del lavoro. Una bulimia da Zoom, Meet o GoToMeeting, che ha reso disponibili centinaia di migliaia di ore di riunioni, webinar, convegni, incontri tematici (sì, abbiamo contribuito anche noi di Le Nius) sul cui futuro digitale – ivi compresa la replicabilità, il riuso e il recupero, anche in una dimensione storica – è lecito interrogarsi.

Resta da considerare l’uso del videoconferencing per finalità ludico-ricreative e relazionali, ovvero ogni tipo di attività di presenza su piattaforme non necessitata da ragioni di lavoro o didattica scolastica che si sarebbero dovute quindi svolgere in presenza nel mondo senza pandemia e lockdown del 2020.

Sembra che, dopo l’entusiasmo iniziale, dovuto alla scoperta grazie ad Houseparty di video-aperitivi, la presenza in rete su questo tipo di piattaforme per finalità ludiche abbia subito una contrazione, raggiungendo livelli di saturazione rapidi, soprattutto se confontati con la dimensione professionale di impiego di Zoom, Meet, Teams e le altre.

La novità di Houseparty, insomma, non ha resistito al più consolidato uso ricreativo e relazionale dei social, ormai saldamente impiantato nelle abitudini dei consumatori e del ritorno alla normalità ricreativa della fase due e tre.

Sembra quasi di poter affermare che se il lavoro e la didattica in presenza, attività routinarie del quotidiano, hanno trovato un succedaneo efficace nella presenza sulle piattaforme, lo stesso discorso non si possa fare per le attività relazionali e ricreative, in cui il consumo dei social e la realtà in presenza hanno immediatamente ripreso il sopravvento sulla dimensione mediata dalle videoconferenze.

Le prospettive future del video conferencing in Italia dopo la pandemia

Resta tutto da delineare il futuro impiego post lockdown di tali strumenti, pensati come supplenza completa delle attività lavorative e relazionali rese impossibili dall’isolamento, in un contesto in cui il rientro al lavoro, a scuola, nella realtà sociale nella forma fisica si avvicina sempre più.

Si può concepire che, valutati i costi e i benefici individuali e collettivi indotti dal video conferencing, alcune attività possano proseguire sulle piattaforme, in ragione della riduzione dei costi, dei tempi di spostamento, dell’impatto sull’ambiente, della capacità di conciliare diversamente la vita professionale con quella familiare e domestica.

I primi ad accorgersi di questi vantaggi sono imprese e amministrazioni, che hanno trovato in tali dispositivi di video conferenza gli strumenti per dare continuità a determinate tipologie di lavoro (terziario avanzato, lavoratori della conoscenza) con una riduzione significativa dei costi di esercizio.

È possibile immaginare che lo smart working in piattaforme di video conferenza verrà spinto in avanti fino a quando sarà possibile in questi ambiti, tagliando soprattutto trasferte e missioni, più che l’accesso al posto di lavoro quotidiano, anche in ragione della valutazione di efficacia del lavoro svolto secondo tali modalità in questa fase.

Starà all’equilibrio di un difficile confronto tra lavoratori e datori di lavoro trovare il giusto mix di attività in presenza, in sede o in trasferta, e attività in video conferenza, con il suo differente impatto sulle vite di lavoratori e lavoratrici.

Molto più trascurabili, in assenza di altri eventi pandemici, appaiono le ipotesi sull’impiego ludico-ricreativo delle piattaforme di video conferenza digitale. Trovarsi in un gruppo per un incontro non significa solo condividere il momento al di là di uno schermo, ma trovare e ritrovare quella empatia che solo la complessità di un sociale vissuto – e assaporato – in presenza può garantire.

In questo senso, c’è da immaginare che al successo dei vari usi professionali delle piattaforme – se gestite cum grano salis nella pianificazione del lavoro inteso come attività, e non come merce – non corrisponderà una analoga sopravvivenza delle piattaforme di video conferenza per usi relazionali o ricreativi. La distopia dei video-aperitivi o degli incontri tra amici in videochat, almeno, non avrà futuro.

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Sociologa politica, fa ricerca al CNR e insegna Comunicazione e politica in Sapienza. Si occupa di comunicazione, advocacy, governance e sviluppo delle città, terzo settore, questioni di genere, partecipazione, tematiche su cui ha pubblicato saggi e volumi.
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