Unione Europea: è la Germania l’unica a guadagnarci?6 min read

8 Maggio 2014 Europa -

Unione Europea: è la Germania l’unica a guadagnarci?6 min read

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Unione Europea: è la Germania l'unica a guadagnarci?
@European Parliament
Da più parti si levano critiche contro la moneta unica e la Banca Centrale Europea. Secondo alcuni, la BCE avrebbe sottratto sovranità monetaria agli Stati membri che adottano l’Euro, mentre Paesi quali il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia vivrebbero benissimo anche senza la valuta europea. Siamo certi che sia proprio così? Cosa sarebbero Italia, Olanda, Francia senza la BCE e l’Euro? Probabilmente semplici satelliti della Germania, e le loro banche centrali delle succursali della Bundesbank. Infatti, per molti versi sono proprio l’Euro e la BCE il baluardo della sovranità monetaria nostra e dei nostri partner europei.

Unione Europea: perché fu creato l’Euro

La creazione della zona Euro non è stato solo un progetto economico, bensì politico. Nella mente dei suoi promotori, su tutti il Presidente francese Francois Mitterand, era chiaro che con il disfacimento del blocco dei Paesi ex sovietici, agli inizio degli anni ’90, la Germania unificata sarebbe presto diventata una superpotenza, con nuovi mercati a disposizione e la sfera di influenza dalla sua forte moneta. Al tempo, l’area del Marco era già molto estesa e condizionava i Paesi europei, inclusi Francia e Italia. Le valute nazionali erano collegate dallo Sme (il Sistema Monetario Europeo, entrato in vigore il 13 marzo 1979 e sottoscritto dai paesi membri dell’allora Comunità), che garantiva sì una qualche stabilità dei cambi, ma era dominato dalla moneta tedesca. Se le cose fossero rimaste così, le differenze fra le economie dei Paesi europei si sarebbero accentuate gravemente, relegando alcuni di essi, Francia e Italia comprese, a ruolo di comprimari.

L’Euro e la BCE furono la risposta a questo problema. Oggi, infatti, è l’intera Europa (zona Euro) ad esercitare l’influenza che prima esercitava la Germania. Al contrario di quanto sostengono alcuni fantasisti della storia, non è la Germania ad avere imposto l’Euro agli altri. È molto più vero l’opposto. Alla Germania è stata sottratta l’arma del Marco e della politica monetaria che ne derivava. Come è ovvio, tutto ciò non poteva che avere una contropartita. La Germania, accettando, ha preteso alcuni vincoli: la BCE – così come la Bundesbank – ha come primo obiettivo il governo della stabilità dei prezzi (lo spettro dell’inflazione, incubo tedesco dalla Repubblica di Weimar in poi); non sono tollerate svalutazioni; i disastri delle politiche economiche dissennate di altri Stati membri non possono essere salvati dall’intervento della Banca Centrale mediante la stampa di moneta a piacimento.

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La Germania motore d’Europa, dunque, non ha imposto nulla, anzi, ha deposto la sua arma più forte, a certe condizioni. Né si può dire che la BCE sia controllata da tedeschi, che mai hanno avuto un presidente o un vicepresidente, e nemmeno hanno più un capo economista nel board. Senza giustificare più recenti eccessi rigoristici e antisolidaristici del governo Merkel, bisogna dunque ricordare che il ruolo trainante di Berlino non è frutto di regole furbescamente inflitte agli altri. Inoltre, senza la BCE, la Banca d’Italia o la Banque de France sarebbero poco diverse da ciò che oggi è la Danmarks Nationalbank di Copenhagen, indipendente in diritto (seppure all’intero di SME II), ma costretta di fatto a seguire passo passo ogni decisione di Francoforte. Allo stesso modo, peraltro, della Bank of England e della Sterlina prima della crisi – e anche più di recente in alcuni aspetti – che imitano mimeticamente i movimenti dell’Euro. Lo stesso discorso vale per la Risksbank e la Corona, rispettivamente la Banca centrale e la valuta svedesi.

Non vi è dubbio che la crisi abbia svelato alcune importanti incongruenze della politica monetaria europea. Mario Draghi sta riuscendo nel difficile compito di tenere il timone, estendendo probabilmente oltre i limiti del mandato il ruolo della BCE. Non a caso la Corte Costituzionale tedesca si è dovuta pronunciare in merito, fortunatamente avallando l’operato di Francoforte. Non sembra pensabile che le regole rimangano quali sono oggi, qualcosa dovrà essere cambiato e adeguato al nuovo scenario post-crisi. Ma questo, nell’indifferenza dei più, già succede. Se oggi l’Europa ha un’Unione Bancaria, frutto insperato e inestimabile di questa dura crisi, lo si deve all’incessante spinta politica della BCE, che ha scardinato fin dove possibile, con vero spirito europeo, le paludose ritrosie degli Stati nazionali. Se le nostre banche saranno più solide e se i cittadini non dovranno pagare di tasca propria eventuali salvataggi, lo si deve alla BCE, lo si deve all’Europa. E basta essere minimamente informati per sapere quanto sia stato duro convincere la Germania ad accettare queste condizioni.

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Unità e Sovranità monetaria: gli orizzonti dell’Unione

Sostenere, perciò, che uscire dall’Euro farebbe recuperare la sovranità monetaria agli Stati, è un’illusione e una bugia. È vero l’opposto. Sono l’Euro, la BCE e in definitiva l’Europa che assicurano una vera sovranità. È una sovranità condivisa, non una cessione a terzi. E non esiste alcun germano-centrismo dell’Euro. Piuttosto è vero il contrario. Tramite l’Euro gli Stati UE si sono assicurati il diritto di determinare insieme una politica monetaria, invece di essere succubi di quella tedesca per il decennio passato e quelli futuri. È dunque necessario insistere su questa strada, migliorando dove possibile e assicurando il bene comune, ma sempre verso una maggiore integrazione, non solo monetaria.

Come esempio, basti considerare quanto segue. Il Mercato Unico, dal primo abbattimento delle frontiere nel 1992 ha garantito guadagni per 233 miliardi e un aumento dell’occupazione del 1,3 % (in parte erosi dalla crisi). Un ulteriore abbattimento di frontiere si stima possa portare a un beneficio potenziale annuo di 235 miliardi. L’Unione Bancaria e il mercato unico dei servizi finanziari, terreno di violento scontro e duri negoziati fra l’Europa e i suoi 28 Paesi membri, una volta a regime costituiranno il cordone di sicurezza contro future crisi e porteranno a un risparmio annuo di 65 miliardi. A ciò si aggiungano 260 miliardi di un Mercato Unico Digitale, 50 miliardi del Mercato Unico dell’Energia, 13 miliardi dalla lotta all’evasione e altri 13 dalla lotta per l’uguaglianza di genere.

Complessivamente, secondo un recente studio del Parlamento europeo, l’impatto economico della nuova fase di integrazione europea, o il costo da pagare se a ciò si volteranno le spalle, sarà di oltre 800 miliardi all’anno, qualcosa come il 6% del Pil dei 28 Stati UE. Unità e sovranità condivisa, questa è l’unica risposta, ed è anche la più ricca di significato. E chi non crede a una casa comune in un’Europa unita, pensando siano romanticherie, creda almeno al proprio portafoglio.

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Milano, Dublino, Londra e Bruxelles. Specializzato in diritto bancario, dei mercati finanziari e dell'Unione europea, collaboro con le facoltà di Economia e Diritto di alcune università europee.
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