Un sociologo nella Grande Famiglia3 min read

11 Dicembre 2013 Comunicazione Società -

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Un sociologo nella Grande Famiglia3 min read

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grande famigliaDopo il pomeriggio dantesco all’Ikea, la serata manzoniana sul divano: capite quanto è provante la vita del sociologo impegnato in prima linea nell’analisi della società.

Questa volta mi sono avventurato nella visione de “Una grande famiglia”, fiction in onda su RaiUno in prima serata, la cui seconda serie si è conclusa il 5 dicembre scorso.

Siamo in un paese della Brianza, dove una famiglia patriarcale composta da due nonni, cinque figli e qualche nipote divide le sue disavventure tra i capannoni dell’azienda e la villa di famiglia. I valori sono sempre quelli: casa e famiglia. Non se ne esce.

I ruoli di genere sono ben distinti, con il patriarca Ernesto (Gianni Cavina) capitano d’industria che lascia l’azienda nelle mani del primogenito Edoardo (Alessandro Gassman) e la moglie Eleonora (Stefania Sandrelli) tutta dedita agli affari di casa e famiglia (con risultati discutibili, tra l’altro).

I ruoli familiari sono molto sfumati. Ai genitori, specie all’onnipresente e patetica Eleonora, è lasciata (in quanto donna e quindi madre) ampia libertà di ficcare il naso nelle vite dei figli, anche quelli che già da un pezzo hanno completato la transizione all’età adulta. E la cosa sembra essere felicemente accettata, in linea con la retorica tutta italiana dei “bamboccioni”.

Anche la stratificazione etnica del mercato del lavoro è descritta in un modo che più visibile non si può. La servitù di famiglia è composta da una coppia nera.

Certo, con un raffinato stile politically correct, i Rengoni li trattano bene, addirittura li rendono partecipi di qualche confidenza decisiva. Anche se io sospetto che se dimenticasse d’un tratto di controllare le sue espressioni, Eleonora si lancerebbe volentieri in intrasmissibili epiteti razzisti.

Comunque il risultato è che i bianchi spadroneggiano e i neri servono. In questo c’è un minimo di verità sociologica ma il messaggio è che è giusto e naturale così.

Ma la nostra Grande Famiglia non si fa mancare proprio niente, nemmeno l’esperienza di coltivare dentro di sé una potenziale minaccia ai sacri valori che tanto si impegna a perpetuare: inspiegabilmente Nicolò, uno dei nipoti, è gay.

I nonni mostrano un’inaspettata ampiezza di vedute (che non si dica che sono conservatori!) così come i figli e i nipoti più giovani. Non è così per l’ipercattolica Laura, madre di Nicolò, che proprio non se ne capacita.

grande famigliaUn bell’occhiolino strizzato al pubblico progressista, con tanto di effusioni gay in prima serata su RaiUno in una fiction sulla famiglia.

Ma anche qui il cerchio caldo della famiglia tradizionale ha la meglio, e l’amore materno supererà ogni difficoltà.

In tutto questo non esiste nulla al di fuori del mondo familiare e aziendale. Non esiste lo Stato, non esiste la città, non esiste il territorio. Il mondo sembra abitato solo da ricchi pieni di patemi e tutto racchiuso in ville, aziende e, quando serve, un maneggio o un ospedale.

Uno potrebbe dire che questo insistere sul modello famiglia-azienda è funzionale allo svolgimento della trama e alla rappresentazione di un segmento di società.

Vero. Ma io ho un sospetto. Ho il sospetto che in realtà serva proprio per ribadire i ruoli di genere, la retorica dei figli incapaci di vivere in autonomia, la naturalità della divisione etnica del lavoro, la superiorità morale della famiglia tradizionale.

Perché la fiction in prima serata su RaiUno è sempre e comunque un messaggio politico.

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
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