Tra fumetti e politica, intervista a Gaia Cocchi7 min read

3 Febbraio 2015 Cultura -

Tra fumetti e politica, intervista a Gaia Cocchi7 min read

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fumetti e politicaPer Le Nius ho intervistato Gaia Cocchi, la giovane autrice di Comix Riot, un saggio edito da Bordeaux Edizioni sul rapporto sempre più stretto che c’è tra il fumetto e la narrazione politica. Sorpresi? Non dovreste esserlo, in realtà…

Ma quindi il fumetto non è solo un passatempo per bambini o adulti affetti da sindrome di Peter Pan?
Eh no! Quantomeno non potrei dire una cosa del genere senza ammettere di aver scritto il libro solo per continuare a leggere i fumetti! (ride)
Il fumetto è un medium potentissimo e, per come la vedo io, uno dei pochi in grado di contrastare la televisione. Ti costringe a pensare mentre ti diverte e lo fa senza porti quel finto peso sulle spalle che avvertono in molti davanti a pagine piene solo di parole – cosa che non sono mai riuscita a spiegarmi, ma molto diffusa.

Quanto è stato difficile promuovere e raccontare un testo che parla di fumetti e politica?
Per quanto riguarda la promozione di Comix Riot non saprei… Sono un po’ incapace di parlare in pubblico, mi vergogno e mi sembra sempre di annoiare a morte. Però fumetti e politica sono due cose che amo con tutto il cuore, e perciò spesso senza rendermene conto parto in quinta. Quello che mi riesce sempre difficile è spiegare come, in certi fumetti, queste due cose entrino così in simbiosi, esaltandosi a vicenda, in un modo che se non lo vedi con i tuoi occhi io non ho la minima speranza di fartelo capire.

Come si colma il gap culturale, tutto italiano, per cercare di far capire che il fumetto è un medium per tutti, se non soprattutto per adulti?
Facendo buoni fumetti. Non c’è altro modo secondo me. È inutile lamentarsi di non essere presi sul serio quando sei tu il primo a non prendere sul serio quello che fai. Se ami fare fumetti, mettici il cuore e tutto quello che hai da metterci: verrà fuori il miglior lavoro che tu possa fare, e si vedrà. Prendi la Shoah. Per quanto mi riguarda, nessun documentario, film o libro è riuscito a raccontare quelle vicende in maniera più convincente, su tutti i fronti, di Maus di Spiegelman. Chiunque io abbia incontrato che lo ha letto pensa che sia un’opera impossibile da ignorare e allo stesso tempo alla portata di tutti. Potrebbero farlo leggere alle medie, se non alle elementari. E fa capire cosa è stato l’inferno nazista più profondamente di qualsiasi libro di testo o foto strappalacrime.

Non credo sia un azzardo affermare che parte della tua formazione sia avvenuta all’interno dei centri sociali.
No, non è affatto azzardato, anzi. Però purtroppo sono costretta un po’ a dissentire su questa cosa, mio malgrado. Vivo nei centri sociali e uno dei motivi per cui ogni volta che penso di trasferirmi all’estero mi viene l’ansia è che all’estero non ce ne sono, non come quelli di qui, non così tanti. Ogni volta che entro al Forte prenestino mi sento Alice nel paese delle meraviglie. Se mangio fuori, di media è in un centro sociale, al Corto o che so io. Non metto piede in un locale per un concerto da anni. Insomma ci vivo. Però è anche vero che ci siamo un po’ – un bel po’ – arenati nei e sui centri sociali.

Che ruolo ha il fumetto al loro interno? Potremmo dire che i centri sociali sono il chilometro zero dell’autoproduzione? I luoghi della sperimentazione?
I centri sociali sono il luogo ideale per la sperimentazione – dove diavolo potresti essere più libero? – ma non hanno esplorato davvero le potenzialità del fumetto per molto tempo. Mi sembra, e sia chiaro che è davvero solo un’opinione, che non l’abbiano sentito come qualcosa di proprio, da inglobare e utilizzare per comunicare all’esterno, come il corteo, i dazebao, i comunicati, i manifesti. Qualcuno ovviamente se n’è accorto e sono nate cose favolose – lo Sherwood Comix, il Crack, il Corto Comix, il Borda! Fest… ma eccoli. Sono un po’ troppo pochi se pensi a quanti centri sociali ci siano in Italia, a quanti fumettisti vorrebbero portare in giro le loro cose, spesso cose politiche che al massimo due o tre editori si azzarderebbero a pubblicare. Adesso credo che la situazione stia un po’ cambiando, mi sembra che si stia facendo qualche passo avanti. Soprattutto mi sembra che ci si stia rendendo conto di come a volte è meglio fare un bel fumetto di un paio di pagine per parlare della campagna contro la privatizzazione dell’acqua, degli sgomberi, di Kobane piuttosto che l’ennesimo volantino.

Nel tuo lavoro è molto presente Zerocalcare (anche come autore della copertina e della prefazione ndr), pensi che lui abbia cambiato il ruolo politico del fumetto in Italia?
Assolutamente. Michele ha portato la vita della sinistra extraparlamentare sotto gli occhi di persone che un centro sociale o una manifestazione non li hanno visti neanche con il binocolo. Non è stato il primo e non sarà l’ultimo a fare splendidi fumetti impregnati di politica, ma nei suoi fumetti, secondo me, c’è una struttura narrativa complessissima che ha del geniale. Mi spiego meglio: ti fa sganasciare dalle risate, in molti modi diversi; ti fa piangere e ti fa pensare; ti spiattella dei riferimenti culturali intermediali pazzeschi e continuamente; informa su determinate realtà come lo farebbe un tuo amico, demitizzandole – cosa per me importantissima. Il tutto attraverso una concretizzazione di un immaginario che appartiene a molti. Ecco, secondo me, oltre all’innegabile genialità, sta proprio qui il centro di tutto: nella condivisione della sua esperienza politica, del suo essere e vivere politico.

Hai letto il suo reportage su Kobane?
Sì e – sarò anche un’emotiva del cavolo – confesso di aver pianto un paio di volte, proprio di commozione. Ha reso l’idea di cosa può essere vivere quell’esperienza giorno dopo giorno, ha reso l’idea di cosa vuol dire lottare con tutto il cuore. E questo cambia tutto, sempre.

Io credo che il suo murale a Rebibbia sia qualcosa di incredibile per il quartiere e in fondo anche per tutta la periferia romana.
Sì, è incredibile. Sia il murale, sia il messaggio. Per tutta la periferia non mi allargherei… personalmente escluderei quella nord-ovest! No, a parte gli scherzi, concordo in pieno. Ogni cosa che porti colore e identità nell’omologante periferia di qualsiasi metropoli è una cosa fantastica.

Chi controlla il controllore? è una frase che esce spesso nelle pagine del tuo libro, ma pare che se ne ricordino solo gli autori di fumetti. Il futuro del giornalismo watchdog è disegnato?
Non ho la palla di vetro, ma spero di sì. Certo che al momento, a parte rare eccezioni, il giornalismo italiano è una barzelletta poco divertente. E le eccezioni in più di un caso hanno collaborato per scrivere fumetti: basti pensare ad Antonini e Spataro in Zona del Silenzio. Perciò posso almeno dire che se c’è un giornalismo più serio, in Italia, i migliori esempi li ho trovati proprio in quello disegnato.

2001-2009: Carlo, Federico, Stefano… hai dedicato una parte molto importante del tuo libro alle loro storie e a chi ha deciso di raccontarle. Parlando del loro lavoro su Stefano Cucchi, Moretti e Bruno dicono che hanno deciso di farlo perché un fumetto rimane impresso nell’immaginario.
Condividi questa affermazione? Credi nel fumetto civile?
La condivido pienamente ed è il motivo principale per cui ho deciso di scrivere Comix Riot. Per esperienza diretta – con mio fratello nello specifico – ho visto quanto un fumetto può rimanerti impresso, farti venire la voglia di approfondire, di ricercare, di capire. Il potere ha veramente troppo controllo sui mass media più tradizionali. Le storie di Stefano, di Carlo… vengono deturpate, piegate e distorte a loro comodo. Il fumetto di questo genere ha invece chiesto a gran voce giustizia dove di giustizia non se n’è avuta e forse, non se ne avrà mai. Ma almeno rimane, ti entra dentro e fa in modo che tu non te ne possa dimenticare appena accade qualcos’altro.

Per concludere: hai davanti a te persone che non sanno nulla di fumetti. Consiglia loro 5 fumetti per fargli capire la forza politica e civile di questo strumento.
Ahi! Questa è sempre la più difficile. Io direi Maus di Spiegelman, Non mi uccise la morte di Bruno e Moretti, Watchman di Moore, Safe Area Goražde di Sacco e Immagini che producono azioni dello Sherwood Comix. Poi ce ne sarebbero altre centinaia, ma il limite è sempre crudele.

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Fumetti-politica-intervista-Gaia-Cocchi

di Gaia Cocchi, Bordeaux Edizioni, 279 pagine, 18 euro[/tab_item]
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Federico Vergari. 3 giugno 1981. Giornalista pubblicista. Un saggio sul rapporto tra politica e fumetto pubblicato nel 2008 con Tunué. Scrive un po’ di tutto sul suo blog ilcanedaguardia.blogspot.com. Per lenius.it si occupa esclusivamente della nona arte. II fumetto.
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