Sud Sudan, un genocidio dimenticato11 min read

31 Dicembre 2017 Mondo Politica -

Sud Sudan, un genocidio dimenticato11 min read

Reading Time: 8 minutes
Sud Sudan, un genocidio dimenticato
@Africa Renewal

In Sud Sudan la guerra civile si è trasformata in una vera e propria pulizia etnica, che ha costretto centinaia di migliaia di sfollati a fuggire verso l’Uganda. La comunità internazionale offre aiuti e propone soluzioni politiche, ma gli interessi legati al petrolio e l’odio millenario fra le etnie dinka e nuer sono ostacoli apparentemente insormontabili per la diplomazia.

Pocket Nius: da sapere in breve

1. Dal 2013 il Sud Sudan è dilaniato da una guerra civile fra l’etnia dinka (al governo) e nuer (oppositori).
2. Il conflitto si è tramutato in un’opera di pulizia etnica da parte delle forze governative, seguita dai massacri operati degli oppositori.
3. Negli anni sono nate nuove piccole fazioni locali che si contendono controllo il dei territori con il petrolio.
4. L’Onu è presente nel Paese con 14mila caschi blu, ma i militari non sono un deterrente sufficiente ad evitare i massacri.
5. I civili riescono a sopravvivere solo grazie agli aiuti umanitari internazionali e almeno un terzo della popolazione è sfollato

Il conflitto tra dinka e nuer

Dal 2013 ad oggi la guerra civile fra dinka e nuer non si è mai fermato. Il Paese, ricco di petrolio, è quotidianamente attraversato da battaglie per il controllo del territorio fra le forze governative del Presidente Salva Kiir e le milizie armate degli oppositori vicine all’ormai ex-vice Presidente Rieck Machar. Ma, col tempo, quella nata come una guerra civile per il governo del neonato Paese, si è trasformata in una vera e propria pulizia etnica: secondo le fonti di Amnesty International, le forze governative di Kiir (di etnia dinka) hanno in più occasioni colpito deliberatamente la popolazione civile di etnia nuer. In appoggio all’esercito si sarebbero uniti anche folti gruppi di milizie locali fra cui “Mathiang Anyoor”, organizzazione militare capillare che dai tempi dell’indipendenza ha sempre perseguitato le minoranze nuer della regione. Per rappresaglia, anche i gruppi armati dell’opposizione nuer hanno compiuto diversi massacri fra i dinka nelle zone strappate al controllo governativo. Secondo Adama Dieng, consigliere speciale ONU per la prevenzione dei genocidi, non si tratterebbe più solo di dinka contro nuer, ma di gruppi di potere locali che combattono per il controllo del petrolio in territori ristretti:

Quello che prima era un esercito indisciplinato diviso tra dinka e nuer è ora un corpo senza forma fatto da diversi gruppi armati, bande di criminali e delinquenti di ogni tipo su cui il governo non esercita alcun tipo di controllo.

A risentire dell’instabile situazione politica è anche l’economica: con lo scoppio della guerra civile, la produzione di petrolio è diminuita passando dai 245 mila barili del 2013 ai 160 mila di oggi. Il PIL, che era cresciuto rapidamente dopo l’indipendenza, è ormai crollato mentre l’inflazione quest’anno è arrivata al 370%, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale. Le poche voci di entrata del bilancio statale, vengono utilizzate dal governo principalmente per sostenere le spese di guerra.

Cosa sta facendo l’ONU in Sud Sudan?

Nel 2016 l’ONU ha inviato 14mila suoi militari in supporto alla popolazione, ma la presenza dei caschi blu non è bastata a contrastare gli incessanti abusi sui civili. A ottobre Nikki Haley, rappresentante permanente alle Nazioni Unite degli Stati Uniti, si è recata in Sud Sudan per osservare come gli aiuti provenienti dagli USA venissero utilizzati dalle Ong sul territorio. Durante la visita a un campo profughi, la diplomatica americana è stata costretta a fuggire dopo lo scoppio di una violenta sommossa anti-governativa. A seguito dell’episodio, la stessa Haley ha manifestato la delusione degli Stati Uniti nei confronti del governo sudsudanese da sempre politicamente appoggiato da Washington: dal giorno dell’indipendenza nel 2013, gli USA hanno versato circa 10 miliardi di dollari e da soli coprono più di un quarto di tutti gli aiuti internazionali che arrivano al Paese ogni anno. Le dichiarazioni dell’ambasciatrice non lasciano però dubbi:

Gli Stati Uniti sono pronti a intraprendere ulteriori misure contro il governo se non agiranno per porre fine alla violenza e alleviare le sofferenze nel Sud Sudan.

Emergenza umanitaria: carestia e crimini di guerra

Secondo i dati dell’ONU, a causa dello scoppio della guerra civile, circa 100mila sud-sudanesi sono stati colpiti da una grave carestia, mentre il 40% della popolazione ha bisogno in maniera continuativa di cibo e assistenza. Alcuni funzionari hanno affermato che le autorità sudsudanesi hanno volutamente bloccato gli aiuti umanitari diretti verso alcuni determinati territori. Accuse poi smentite dal governo stesso. Altri operatori, invece, riportano testimonianze di attacchi verso convogli umanitari da parte sia delle forze governative che dei ribelli. Le notizie che trapelano ai media internazionali sono però molto spesso frammentate e poco attendibili: molti dei crimini non vengono raccontati a causa delle pessime condizioni in cui si trovano i media nazionali e per le difficoltà a raccogliere le testimonianze. Strade e linee di comunicazione sono in buona parte state distrutte negli scontri e molte parti del Paese sono ormai quasi irraggiungibili. Vi è anche una forte influenza sulla popolazione da parte delle fazioni in gioco attraverso i social network, con la creazione di notizie false che rendono più complicate una lettura esatta della realtà. Nel febbraio di quest’anno, l’ONU ha tolto il Sud Sudan dalla lista dei Paesi afflitti da carestia. È però dimostrato che questo fatto è dovuto all’ingente aumento degli aiuti umanitari pervenuti nella regione, piuttosto che a una normalizzazione della produzione alimentare. In molte regioni, infatti, permane carenza di cibo e le Ong fanno ancora fatica a intervenire nelle aree più isolate. Questo ha portato la una situazione di precarietà senza precedenti: negli ultimi sei anni, circa 4 milioni di abitanti (un terzo della popolazione) è sfollato e solo i più fortunati sono riusciti a raggiungere e trovare asilo nella vicina Repubblica Democratica del Congo o in Uganda, uno degli Paesi più accoglienti del mondo per i migranti.


5 link per saperne di +

1. Il + accurato

Il reportage di Pietro del Re su Repubblica.it sulle condizioni dei civili in fuga dalla guerra.

2. Il + critico

Gli orrori della pulizia etnica in Sud Sudan e il fallimento dell’Onu: Antonella Napoli sull’Huff Post analizza la situazione africana e le responsabilità dell’Onu.

3. Il + storico

Internazionale ripercorre le tappe storiche del conflitto in Sud Sudan.

4. Il + accogliente

Sul post un approfondimento sull’Uganda, lo stato più accogliente del mondo.

5. Il + vicino

5 milioni di persone rischiano di morire per mancanza di cibo: la testimonianza di padre Daniele Moschetti raccolta da Radio Vaticana.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
2 Commenti
  1. Lorenzo

    Condivido pienamente l’approccio professionale, etico e culturale esposto nel punto “il filo”: oggi, più che mai, l’umanità ha bisogno di maturare quel sentimento cosmopolita che, seppur alle volte inconsapevolmente, ha sempre portato in grembo. Molti sono gli aspetti dai quali poter trarre un giudizio sullo stato di questo processo di maturazione: un fattore determinante, io credo, è il grado di ipocrisia presente (in misura variabile) nel pensiero e nelle azioni della popolazione e della classe dirigente dei paesi più evoluti dal punto di vista politico e culturale - primato pagato al prezzo di una storia costellata di orrori e tragedie. Anche oggi, senza andare troppo lontano a livello storico e geografico possiamo notare quanto possa essere contraddittorio il livello di civiltà raggiunto da stati di tal genere. Solo per fare un esempio: pensiamo agli Stati dell’Unione Europea, per un verso in fibrillazione e in apprensione per la propria salute e per la sorte dell’economia delle comunità nazionali e per l’altro verso dimentichi di una delle attuali crisi umanitarie ad essi più vicina politicamente e geograficamente. Ovviamente non è tutto marcio ciò che vive nelle nazioni prese a modello e la complessità di certe dinamiche storiche nazionale e internazionali passate ed attuali non può essere fedelmente rappresentata da poche battute. Ammesso ciò, per quanto riguarda le drammatiche vicende che sono intercorse e intercorrono nel Sud-Sudan, non possiamo comunque accettare il vasto grado di ignoranza ed indifferenza a cui sono condannate da parte di quell’apparato informativo e di inchiesta, che non fa altro che riprodurre deprecabilmente il livello medio di (dis)interesse presente nel sentimento delle culture contemporanee in ordine a tali odiosi fatti. Per questo, ribadisco, mi compiaccio del vostro approccio. Grazie. Buon lavoro.

  2. Redazione Le Nius

    Grazie mille Lorenzo!

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