Storie d’azzardo | Antonia4 min read

30 Ottobre 2020 Dipendenze -

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Psicologa e giornalista

Storie d’azzardo | Antonia4 min read

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Gli italiani spendono oltre 100 miliardi l’anno nel gioco d’azzardo. I giocatori problematici sono oltre 1,5 milioni. La ludopatia è una vera e propria dipendenza, con costi sociali ed economici altissimi. Abbiamo raccolto le storie di alcune persone ludopatiche; le storie sono vere, i nomi di fantasia.

Non ho mai sopportato l’idea di essere dipendente da qualcuno o da qualcosa. Invece, alla fine, lo sono diventata.

Antonia ha iniziato con i Gratta e Vinci e i 10eLotto a 43 anni. Prima poco, poi sempre di più: “All’inizio pensi che non ti porteranno alla deriva, che non sono come le sale Bingo e le macchinette. Invece, ti rovinano allo stesso modo”.

Ma sono sensazioni contrastanti quelle che Antonia prova all’inizio: “Entravo in tabaccheria, magari mi giocavo 200 euro e quando uscivo mi dicevo che ero matta, che non l’avrei più rifatto, che domani avrei smesso. Ma quel domani non arrivava mai, nella mia testa dovevo giocare di nuovo per recuperare la cifra persa. Ma poi perdevo un’altra volta e il gatto tornava a mordersi la coda”.

Quando suo marito la scopre e le dice di chiedere aiuto, Antonia si sente obbligata: “Lui ha sempre avuto questo modo di impormi le cose, di starmi addosso, di controllarmi. Io, da quando sono arrivata in questa grande città dal Sud d’Italia, ho invece sempre tentato di costruirmi una vita di indipendenza. È vero, abbiamo sempre avuto qualche difficoltà economica. Ma lui mi faceva vivere tutto questo con ansia e pressione, magari controllandomi il conto in banca. E io, a un certo punto, mentre continuavano a martellarmi in testa le sue parole di sempre – ‘soldi non ce ne sono’ – sono arrivata a pensare che mi sarei liberata di lui solo se avessi avuto più denaro. E il gioco mi è sembrata l’unica via per riuscire a separarmi”.

Mossa da un forte desiderio di libertà, Antonia inizia a prendere il gioco sul serio: “Se vincevo 50 euro li reinvestivo immediatamente. Dove sarei andata con una vincita così esigua? Allora giocavo ancora, piena di adrenalina ma allo stesso tempo di ansia, con le mani che tremavano, sperando che uscissero quei benedetti numeri sui quali avevo puntato. Quando perdevo, all’ansia subentrava la devastazione, che era ancora più grande per tutte le bugie che ero stata costretta a dire ad amici e familiari, per coprirmi e farmi prestare soldi, magari inventando che dovevo pagare una bolletta”.

Ma sono i suoi figli, soprattutto il più grande, a fornire subito ad Antonia spalle forti alle quali aggrapparsi: “Durante i periodi di crisi con mio marito, i conflitti e le litigate, avevo sempre cercato di tenere fuori i bambini, per risparmiare loro sofferenze. Mio marito no. Appena ha capito che giocavo, quando a casa è arrivata una lettera della banca, li ha coinvolti, sperando forse di mettermi in cattiva luce e non cercando mai una volta, egoista com’è, di indagare su cosa c’era dietro, di capire che il gioco per me era diventato un rifugio, uno spazio di autonomia nel quale scappavo”.

Non capisco perché hai sopportato tutto questo, mamma. Nella vita si può sbagliare, l’importante è non perseverare.

Ha detto il figlio più grande ad Antonia. “Parole che non dimenticherò mai e che mi hanno dato la molla per provare a recuperarmi e a recuperare la loro stima. Io, la loro mamma, quella che aveva passato una vita a insegnare a stare sul binario giusto, ora ero su quello sbagliato. Un binario che mi aveva portata a spendere quasi tutto lo stipendio di dicembre e la tredicesima. A quel punto ho deciso che sarei andata all’appuntamento che mio figlio aveva già preso per me con un professionista che poteva aiutarmi, senza farmi sentire che ero costretta a farlo, ma lasciandomi libera di scegliere”.

Da allora – sono passati tre anni e otto mesi – Antonia non ha più giocato. Ogni tanto, quando è nervosa, divora cioccolata. Ha imparato a raccontare la sua storia, a riconoscersi nelle sue parole, a perdonarsi: “Ancora oggi, io mi rivedo in quegli stati d’animo contrapposti che il gioco ti fa vivere, in quella carica mista a paura, in quel nascondersi, in quell’ingegnarsi di giorno e di notte per trovare i soldi, in quella solitudine, in quel dolore impossibile da condividere”.

E anche il rimorso permane: “Non riguarda tutti quegli euro che ho buttato, quanto alcuni gesti che ho fatto per continuare a giocare. Credo di avere toccato il punto più estremo quando ho venduto degli ori di mia madre, che non c’è più. Sono oggetti dal valore affettivo enorme che non riavrò più indietro. Mi chiedo oggi come io sia potuta arrivare a tanto”.

Quanto giocano gli italiani? A cosa? Chi ci guadagna? Tutti i numeri del gioco d’azzardo in Italia

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Giornalista pubblicista e psicologa, ha unito la sua capacità di ascolto e empatia alla sua passione per la scrittura, cominciando a raccogliere storie di vita. Scrive per testate locali romagnole e per blog su immigrazione, sociale, arte e benessere.
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