Essere hikikomori | La storia di Francesca4 min read

3 Maggio 2020 Società -

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Psicologa e giornalista

Essere hikikomori | La storia di Francesca4 min read

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Chiusi in casa, in alcuni casi solo nella propria stanza, eliminando quasi completamente i rapporti con gli altri. Spesso un unico aggancio: internet. No, non stiamo parlando di un paese ai tempi dell’isolamento, ma di hikikomori, giovani che si chiudono in casa rifiutando i contatti sociali. Abbiamo raccolto le storie di alcuni di loro; le storie sono vere, i nomi di fantasia.

storia hikikomori
Immagine di fantasia che non ritrae la protagonista della storia

Finché non sei tu a voler dare un punto di svolta, si fa fatica ad accettare un parere esterno.

A parlare è Francesca, una ragazza riminese di 21 anni, che per svariato tempo ha preferito non uscire da casa. “Bisogna stare vicino a questi ragazzi che stanno attraversando un momento difficile, ma senza opprimerli. Assecondare le loro passioni, ma non cercare di spingerli a fare più di quello che si sentono”.

Francesca non ha molti ricordi della sua infanzia. Non sa bene neanche perché. Ricorda solo che in casa stava benissimo. E una delle pochissime immagini della scuola risale alla prima elementare: un’enorme lavagna interamente scritta da ricopiare. “I miei genitori mi dicono che in seconda mi hanno cambiato classe. La maestra era così rigida che ci metteva una nota anche per un disegno che non era fatto come voleva lei”.

Francesca soffre di emicrania dall’età di 9 anni. “Quando ero più piccola, il mal di testa mi bloccava a letto anche tre o quattro giorni a settimana. Mi sono sottoposta a tanti accertamenti, ma senza nessuna diagnosi e cura. Solo stare al buio, sdraiata, conta”.

Poi alle medie comincia a essere vittima di atti di bullismo. “Sei brutta! Mi dicevano i miei compagni. Mi strappavano il diario. Mi davano fastidio ma, allo stesso tempo, mi escludevano dal gruppo. All’inizio non l’avevo presa seriamente. Mi tenevo tutto dentro”.

Neanche a casa Francesca si lamenta. “Se ero triste non si vedeva. Ero arrivata al punto che mi ero proprio rassegnata. Stavo a scuola le ore che dovevo, poi andavo a casa e non ci pensavo più”. In prima superiore le cose sembrano andare meglio. “Al liceo artistico, il primo anno mi sono trovata bene, avevo una classe tranquilla, purtroppo il mal di testa, spesso, tornava a farmi compagnia, soprattutto nei momenti di maggiore stress”.

In terza, quando le classi vengono rimescolate, la situazione precipita. “Per recuperare i giorni di assenza dovuti alla mia salute, i professori mi facevano fare delle interrogazioni programmate, ma questo non piaceva ai miei nuovi compagni. Mi dicevano che era una scusa, che fingevo. Non li biasimo, credo che sia difficile capire quando qualcuno ha un male che non si vede”. L’anno del terzo liceo è il momento in cui Francesca si ritira in casa.

Non volevo più uscire. Stavo bene solo nel mio letto a leggere. Lì ero al sicuro. Non mi sono accorta di quanto mi stava accadendo. Non ero né depressa, né triste.

Francesca si affeziona ai personaggi dei libri, a quelli delle serie tv e sviluppa la passione per i trucchi. “A un certo punto, è diventato chiaro, sia a me che a mia mamma, che io stavo male solo quando andavo a scuola. Per sei mesi sono rimasta in casa. Ho anche provato a ritornarci, ma il mal di testa mi assaliva”.

I genitori di Francesca le rimangono sempre accanto. “Mia madre mi ha capito più di mio padre. Anche a lei è capitato di vivere dei momenti neri nella sua vita. Lui era molto preoccupato. Sono stata anche da una psicologa, ma la cosa mi ha fatto rinchiudere ancora di più in me stessa. Oltre alla mia famiglia c’è stata un’amica, di qualche anno più grande di me, che mi ha aiutato: veniva semplicemente a casa a portarmi la colazione o un fumetto. É grazie a lei che sono passata dalla mia stanza alla cucina”.

Francesca fa della passione dei trucchi un progetto di lavoro. “Sono riuscita a frequentare una scuola di trucco cinematografico a Bologna e poi un corso di effetti speciali a Roma. Sto bene in mezzo ai miei nuovi compagni. Sono tutti più grandi e focalizzati sull’imparare. Nessuno fa caso a me, a come mi muovo o a come mi vesto”.

Anche i mal di testa vanno meglio. “Ne soffro, più o meno, una volta a settimana. Quando arrivano, mi chiudo in camera e aspetto che passino. Credo che sia qualcosa con cui devo imparare a convivere”.

Ora che sta molto meglio, si rende conto di quanto stava male. “Ho fatto tanti passi avanti, ma non è finita. A volte, quando mi guardo allo specchio, ho delle crisi, perché non mi piace il mio viso. Riesco a uscire da casa solo se truccata. So che non è veramente così, tutti mi dicono che sono bella. Dipende dal fatto che ancora non accetto tutto di me e del mio passato. Non sono orgogliosa di come mi sono comportata con me e con la mia famiglia, ma non ci ho potuto fare nulla.

Mi sono trovata incagliata nella mia stanza, quasi senza accorgermene. Sono certa che un giorno mi amerò per come sono.

Cosa significa essere hikikomori? Chi sono e quanti sono i giovani hikikomori in Italia?

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Giornalista pubblicista e psicologa, ha unito la sua capacità di ascolto e empatia alla sua passione per la scrittura, cominciando a raccogliere storie di vita. Scrive per testate locali romagnole e per blog su immigrazione, sociale, arte e benessere.
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