Italiani senza cittadinanza | La storia di Jovana5 min read
Reading Time: 4 minutesNegli ultimi anni si è parlato molto di riforma della cittadinanza. Migliaia di ragazzi e ragazze nati/e in Italia, o in Italia fin da piccoli/e, non possono infatti con le norme attuali diventare italiani/e. Ma cosa comporta vivere in Italia senza avere la cittadinanza italiana? Che impatto ha questa condizione sulla vita di chi la vive? Lo stiamo chiedendo proprio a loro, italiani e italiane senza cittadinanza. Qui tutte le storie.
Jovana ha 22 anni e vive a Roma. È nata in Serbia quando era in corso la guerra in Kosovo e nel 2000, dopo i bombardamenti sul suo paese e la fine di uno dei più drammatici conflitti del XX secolo, è partita insieme alla madre per raggiungere il padre in Italia. Studia Scienze Politiche e sogna di lavorare per le istituzioni europee. Collabora con Oxfam con progetti sulla diseguaglianza di genere e con Italiani Senza Cittadinanza per la riforma della legge sulla cittadinanza.
Quando è arrivata in Italia, Jovana aveva solo due anni. Nei suoi ricordi non esiste un prima e un dopo, e nemmeno un ricordo del momento del suo arrivo e dell’impatto con la nuova realtà.
Ha frequentato tutte le scuole in Italia e nel nostro paese non ha subito il razzismo legato al colore della sua pelle, perché ha avuto la “fortuna” di essere bianca. “Avere fattezze diverse crea più vulnerabilità. In metro vedo spesso come vengono trattate le persone di origine africana e capisco che questo non è il paese che voglio, dove c’è sempre un gruppo etnico discriminato, i neri, gli arabi, ecc.”.
Ha però vissuto alcune situazioni che ora collega alla sua origine. Durante la sua adolescenza, ad esempio, raramente si sentiva chiamare con il suo nome, perché i suoi coetanei utilizzavano un nome italianizzato. Anche se allora non le era così chiaro, questo la faceva sentire non pienamente rispettata nella sua identità.
Attraverso il vissuto dei suoi genitori ha anche sentito gli stereotipi negativi che nei primi anni duemila si erano diffusi sugli slavi, accusati ad esempio di essere “tutti ladri”. In generale, a causa di queste discriminazioni, i suoi genitori si sono sempre sentiti ospiti in Italia.
Dopo vent’anni di residenza in Italia Jovana e la sua famiglia hanno finalmente potuto avviare l’iter per la richiesta della cittadinanza italiana nel 2018 ma, ironia della sorte, nello stesso anno è stato introdotto il Decreto Sicurezza, una misura retroattiva che ha raddoppiato i tempi di attesa da due a quattro anni, come abbiamo spiegato qui.
La mancanza della cittadinanza l’ha sentita fortemente soprattutto durante il suo percorso universitario, pensando al suo futuro lavorativo: molti concorsi pubblici richiedono la cittadinanza italiana o quella europea; per alcuni scambi internazionali è necessario il visto, che può avere come effetto collaterale la perdita della residenza in Italia, un’eventualità che pregiudica la richiesta di cittadinanza basata sui dieci anni continuativi di residenza, oltre i requisiti economici.
In passato Jovana si era raramente interrogata sulla sua identità, essendo cresciuta tra italiani autoctoni con la volontà di “sembrare il più italiana possibile”. Col tempo però, anche grazie ai suoi studi e al suo attivismo, è cresciuta in lei una consapevolezza diversa rispetto al suo percorso biografico.
È entrata in contatto con ragazzi che hanno un’identità più fluida e diversificata quando ha conosciuto Italiani Senza Cittadinanza, di cui poi è diventata attivista. L’associazione, attiva su tutto il territorio nazionale, da anni si batte per la riforma della legge 91/92 (che regola il diritto alla cittadinanza) e la riduzione del tempo di attesa da quattro a un anno, come vige negli altri paesi europei.
Da quel momento Jovana ha capito che la cittadinanza è un diritto che tanti giovani di origine straniera, nati e cresciuti in Italia, non possono richiedere per vari problemi. Ritiene assurdo che la procedura di cittadinanza sia legata al reddito perché ciò significa che non si tiene conto del vissuto della persona cresciuta e formatasi nel territorio italiano, ma solo del suo valore economico.
Trova anche bizzarro che si parli di integrazione dei ragazzi di seconda generazione: ragazzi e ragazze come Jovana non devono integrarsi, semplicemente perché hanno vissuto gran parte della loro vita in questo paese che sentono proprio.
Una questione che vive come particolarmente problematica è la scarsa presenza di ragazzi di origine straniera nelle istituzioni e nei lavori pubblici, come per esempio negli uffici comunali. Secondo Jovana non si tratta di mancanza di qualifiche, come attivista di Italiani Senza Cittadinanza ha infatti conosciuto tante persone competenti che però hanno difficoltà ad entrare nei settori pubblici per la loro condizione di stranieri o italiani non riconosciuti.
Quando pensa al futuro, spera che i giovani che si stanno formando oggi non debbano aspettare così tanti anni prima di poter fare la richiesta di riconoscimento della cittadinanza e ottenere una risposta.
“Spero anche che il reddito non sia più vincolante, perché non siamo venuti noi qui ma ci hanno portati i nostri genitori”. Con l’attuale situazione legata al Covid-19 poi tante famiglie hanno perso il lavoro e di conseguenza non hanno più reddito. Secondo lei è fondamentale che il governo ponga maggiore attenzione sulla questione economica che rischia di far perdere i requisiti a chi chiede di essere riconosciuto come italiano.
Un altro ambito in cui Jovana si sente svantaggiata rispetto ai suoi coetanei autoctoni è quello politico: non può votare nel paese dove è cresciuta e dove vive, ma nemmeno nel paese dove è nata perché non conosce la politica serba e per lei sarebbe solo un azzardo.
Per quanto riguarda la politica italiana, vorrebbe che la sinistra abbandonasse l’approccio paternalistico che assume verso i giovani, sia autoctoni che di nuova generazione, e la smettesse una volta per tutte di credere che non sono pronti.
Sono tanto belle le foto con persone di origini diverse, ma se non le si candida nelle proprie file e non si cambia la legge sulla cittadinanza non serve a nulla tutta questa propaganda.
Senza queste riforme i giovani si sentono abbandonati a se stessi. Non potendo votare preferisce collaborare con i movimenti sociali che le danno tante soddisfazioni personali, piuttosto che far parte di partiti politici e non aver diritto al voto.
Oggi Jovana ha una nuova idea della sua identità plurale. Fino ai 18 anni sentiva le sue radici esclusivamente italiane, ma oggi ha fatto pace coi suoi conflitti interiori, anche dopo aver conosciuto altri giovani con il suo stesso vissuto. Oggi si sente italiana, serba e bosniaca: le capita spesso di pranzare con la pasta all’amatriciana e cenare con un piatto serbo.