Corpi che leggono: storia delle pratiche di lettura11 min read

15 Ottobre 2014 Società -

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Antropologa e insegnante

Corpi che leggono: storia delle pratiche di lettura11 min read

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storia delle pratiche di letturaAvevamo concluso la prima parte di questa sociologia del libro con una riflessione sulla fisicità dei libri, sia cartacei che elettronici, e la scoperta di quanto essi possano stimolare i nostri sensi. Con l’odore della carta ancora nelle narici, passiamo ora a trattare l’altra faccia di una possibile sociologia del libro, presentando una breve storia delle pratiche di lettura legate al corpo. I libri infatti, in quanto oggetti, richiedono sempre il coinvolgimento corporeo – potremmo dire “muscolare” – del lettore.

Secondo Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, che hanno curato un’interessantissima Storia della lettura nel mondo occidentale, la lettura “non è soltanto un’operazione intellettuale astratta: essa è messa in gioco del corpo, iscrizione in uno spazio, rapporto con se stessi e con gli altri”. I lettori di libri cioè, “non si confrontano mai con testi astratti, ideali, distaccati da ogni materialità” ma, al contrario, “maneggiano oggetti, ascoltano parole”.

Che stiano in piedi, sedute o camminino, che sfoglino le pagine di un libro o quelle di un file elettronico, che muovano gli occhi o bisbiglino, infatti, le persone che leggono fanno cose con il proprio corpo. Prima, e oltre, che cervelli intenti a codificare segni, allora, noi siamo corpi che leggono. Anche Michel de Certeau, nel suo celebre testo L’invenzione del quotidiano, ha chiarito che la lettura è un rapporto concreto con il testo fatto di continue “avanzate e ritirate, da tattiche e giochi” e che quindi, nel parlarne,

“bisognerebbe ritrovarne i movimenti del corpo stesso, apparentemente docile e silenzioso, che la mima a suo modo: le ritirate in qualsiasi luogo di lettura sono accompagnate da gesti inavvertiti, borbottii, tic, stiramenti o rotazioni, rumori insoliti, insomma da tutta un’orchestrazione selvaggia del corpo.”

Già nel 1976 lo scrittore francese Georges Perec dedicava alla lettura come azione addirittura un intero articolo, nel quale chiariva fin da subito proprio questo punto:

“Leggere è un atto. Vorrei parlare di quest’atto, e di quest’atto solamente, di ciò che lo costituisce, di ciò che lo circonda, non di ciò che esso produce (la lettura, il testo letto), né di ciò che lo precede (la scrittura e le sue scelte, l’edizione e le sue scelte, l’impressione e le sue scelte, la diffusione e le sue scelte, ecc.), qualcosa, insomma, come un’economia della lettura sotto i suoi aspetti ergologici (fisiologia, lavoro muscolare) e socio-ecologici (il suo ambiente spazio-temporale).”

Perec, e noi con lui, prova a smontare un’esperienza che di solito viene data per scontata, analizzando pazientemente

“ciò che succede quando uno legge: gli occhi che si posano sulle righe, e il loro percorso, e tutto ciò che accompagna questo percorso: la lettura rimanda a quella che è prima di tutto una precisa attività del corpo, la messa in gioco di certi muscoli, diverse organizzazioni posturali, delle decisioni sequenziali, delle scelte temporali, tutto un insieme di strategie inserite nel continuum della vita sociale.”

Leggere, insomma, è innanzitutto un’azione, e le sue caratteristiche in quanto azione si ripercuotono sul significato stesso di quello che leggiamo.

Ad essere coinvolti nella lettura sono senz’altro gli occhi, che durante quest’esperienza compiono movimenti non lineari ed apparentemente disordinati, in un continuo andirivieni fra il testo globale e le sue parole specifiche: le dinamiche oculari attivate durante la lettura non sono forse ancora state del tutto comprese.

Il coinvolgimento degli occhi, comunque, è solo in apparenza banale: ciò che una, seppur sommaria, storia delle pratiche di lettura (o, meglio, “archeologia”) rivela è innanzitutto che non sempre e non tutti i libri vengono effettivamente letti: al contrario, sia nel mondo occidentale antico che in molte culture odierne ad oralità primaria, i testi sono fatti per essere ascoltati, e la lettura come atto visivo semplicemente non si dà. In questi casi essa si rivolge non tanto all’occhio quanto all’orecchio, il lettore è sostanzialmente un ascoltatore e il testo gioca con formule che adattano lo scritto alle esigenze della performance orale.

Storia delle pratiche di lettura: Greci e Romani

È stato questo il caso dei Greci (si vedano gli argomenti usati da Platone contro la scrittura nel Fedro) e, in generale, di tutta l’epoca antica, durante la quale l’alfabetismo era un’abilità limitata a poche persone che, proclamandoli ad alta voce, distribuivano (ananemein) agli altri i contenuti dei rari testi scritti in circolazione.

A partire dal periodo ellenistico (IV-I sec. a.C.), invece, si diffondono i volumina: rotoli di papiro che vanno svolti in senso orizzontale tenendoli con entrambe le mani e sui quali il testo è scritto senza suddivisioni o punteggiatura. In questa prima presa di confidenza corporea con i supporti della scrittura, la lettura è lenta e sempre oralizzata per consentire al lettore stesso di orientarsi nella scriptio continua.

Anche a Roma si legge a voce alta ma, nel corso del II-III sec a. C., al volume inizia a sostituirsi il codex, un nuovo formato che diventerà sempre più simile al libro cartaceo nel senso in cui lo conosciamo noi: rispetto al rotolo esso è meno costoso, più facile da fabbricare ma soprattutto da leggere (si “sfoglia”) e da trasportare.

Storia delle pratiche di lettura: il Medioevo

È però il Medioevo a portare i più radicali cambiamenti nella storia delle pratiche di lettura occidentali: da attività pubblica che si svolge nelle piazze e nei porticati, essa diventa infatti un’esperienza concentrata dentro gli spazi ecclesiastici e monastici (chiese, celle, refettori, scuole religiose) e si limita per lo più alle Sacre Scritture.

Soprattutto, l’Alto Medioevo segna il passaggio da una lettura ad alta voce (“sonora”, che rimane tipica solo di occasioni quali la messa, la refezione comunitaria e la lectio monastica) alla lettura mormorata o addirittura silenziosa (“endofasica”): il libro è ora concepito come strumento per conoscere Dio e va quindi meditato a fondo nell’anima.

La lettura silenziosa rappresenta una netta cesura rispetto al passato perché istituisce con lo scritto un rapporto nuovo: interiore, libero, finanche segreto. Favorisce inoltre un leggere più veloce, selettivo, abile e personale. Dal punto di vista fisico, da questo momento in poi la lettura diventa sempre più quello che De Certeau definisce “un gesto dell’occhio” nonché una presa di distanza fisica e psicologica del lettore dal testo: il testo diventa vero e proprio ob-jectus, il lettore dal canto suo se ne rende autonomo perché può percorrerlo, attraversarlo, scorrerlo, selezionarlo, accelerare, tornare indietro. Ancor più importante, il suo corpo è ora svincolato dai luoghi deputati socialmente alla lettura e quindi molto più libero nelle posizioni e nei movimenti.

Le caratteristiche fisiche dei libri e le modalità corporee della lettura sono due aspetti che si sono sempre influenzati a vicenda, in un continuo adattamento reciproco dell’oggetto e del suo uso. Proprio per favorire la lettura visiva e silenziosa, infatti, nel corso del Medioevo iniziano a comparire le separazioni fra le parole e alcune convenzioni grafiche che guidano gli occhi all’interno del testo: la punteggiatura, la divisione della pagina in due colonne strette, la suddivisione del testo in sequenze, l’introduzione di titoli, indici, tavole analitiche.

Due particolari tipi di supporto favorevole alla lettura estensiva, la cosiddetta “ruota dei libri” ed il “quaderno dei luoghi comuni”, vedono una certa diffusione nel corso del Rinascimento ma, per il resto, le modalità della lettura si evolvono sempre più verso la differenziazione dei formati funzionali agli usi: troviamo infatti, in questo periodo, il grande in-folio o libro da banco, che per le grosse dimensioni deve essere appoggiato per essere letto e costituisce un libro da studio; il tipico libro umanistico di formato medio, già più maneggevole, che offre testi classici e novità; infine il libellus o libro portatile, da tasca, che ha diverse funzioni e solitamente è posseduto dai lettori meno agiati.

L’invenzione della stampa a caratteri mobili nel XV secolo non modifica sostanzialmente le caratteristiche della lettura come azione fisica, poiché il libro stampato riprende il manoscritto (soprattutto quello di piccolo formato) per struttura, dimensioni e organizzazione logica della pagina.

Finora, dunque, la storia delle pratiche di lettura ci ha mostrato il diverso grado di impegno che essa può richiedere agli occhi, alla bocca e alle corde vocali a seconda che si legga in silenzio, muovendo semplicemente le labbra, mormorando o recitando: se alcuni testi (ad esempio la poesia) si prestano molto bene alla lettura vocalizzata, altri testi (come il romanzo) sono tipici di una lettura più intima, privata e silenziosa mentre altri ancora (come le Sacre Scritture della tradizione cristiana) vengono di norma sottoposte ad entrambe le pratiche.

Storia delle pratiche di lettura: l’età contemporanea

Il terzo grande passaggio nella storia delle pratiche di lettura si è compiuto invece letteralmente davanti ai nostri occhi: è quello dalla lettura di un codice (il libro cartaceo) alla lettura a schermo. La nuova forma assunta dal libro ha senz’altro introdotto diversi mutamenti nell’esperienza fisica del leggere: il formato del supporto può essere ora costituito dallo schermo di un computer, di un tablet, di un reader o di un telefonino, dunque ha gradi sempre maggiori di portabilità e sempre minori di consumabilità, mentre il tipo di visione e gestualità che stimola sono ancora esperienze in divenire, che meritano di essere monitorate.

L’architettura logica che governa un testo elettronico ricorda per certi versi il rotolo, dato che costringe la lettura a svilupparsi in modo direzionale e quindi rimette il lettore nella stessa posizione del lettore antico: qui però lo sviluppo del testo è verticale e presenta invece tutti i sistemi di riferimento tipici del codice (tavole, indici, impaginazione).

Per altri versi, abbiamo visto che i lettori digitali tendono a riproporre le caratteristiche materiali dei libri, mentre non sono mancati dei tentativi di transizione passati proprio attraverso l’analisi della gestualità ricorrente del leggere, o quelli di recupero della gestualità di base tipica della lettura cartacea.

La lettura a schermo non influenza più di tanto la scelta fra sonorizzazione e silenzio ma sicuramente implica nuove posture e nuovi luoghi di svolgimento. Sarà interessante inoltre monitorare l’evoluzione dei movimenti oculari legata ai cambiamenti nel nostro modo percepire il testo, cioè dalla lettura continua e analogica a quella più rapida, selettiva ed ipertestuale stimolata dal web. Il libro elettronico infine conduce ad un contatto con il supporto che è forse ancor più “digitale” nel vero e proprio senso del termine: ci porta cioè a muovere molto le dita (nel cliccare sul mouse, nel far scorrere il testo sullo schermo).

Oltre agli occhi, infatti, nella lettura continuano ad essere pienamente coinvolte le mani, anche se meno che nel passato. Oggi forse esse non servono che a tenere il supporto e girare le pagine, ma c’è stato un tempo in cui l’intervento manuale del lettore sul libro era ben più incisivo: prima di iniziare a leggere egli infatti doveva dotarsi di un tagliacarte perché le pagine erano incollate a due a due o a gruppetti, e separarle personalmente.

La lettura come tecnica del corpo

Leggere, come abbiamo visto fin qui, non è un’invariante antropologica: in altre parole, non è uguale in ogni luogo e in ogni tempo, ma al contrario una pratica sempre incarnata in determinati gesti, spazi, abitudini, che non di rado sfociano in comportamenti quasi ritualizzati. Una pratica complessa che, comunque si realizzi, mette in una relazione strettissima il nostro corpo con il supporto materiale utilizzato per veicolare un determinato testo.

La meccanica di questo atto corporeo fa quindi tutt’uno con il momento storico e l’ambiente socio-culturale di appartenenza: per questo il leggere potrebbe ricadere a pieno titolo fra quelle che nel 1936 l’antropologo Marcel Mauss aveva catalogato come “tecniche del corpo”, cioè i modi culturalmente plasmati ed approvati di atteggiare ed usare il proprio corpo in quanto strumento.

Nell’analizzare la corporalità complessiva dell’atto di leggere, Perec si augurava la nascita di una vera e propria “posturologia della lettura”, della quale nel frattempo ci ha offerto uno schizzo sommario ma interessante: si può leggere in piedi (secondo lui è questa la maniera migliore di consultare un dizionario), da seduti (nelle mille e più maniere in cui si po’ stare seduti), in ginocchio (come in chiesa), accovacciati (posizione che molte società, a differenza della nostra, hanno conservato) o sdraiati, infine leggere camminando (senza scomodare Don Abbondio e il suo breviario, basti pensare al turista che si aggira per la città con una guida in mano).

Infine, è possibile leggere e basta, oppure leggere mentre si fa qualcos’altro: ecco allora l’associazione fra leggere e viaggiare, leggere e mangiare, leggere ed aspettare (quest’ultimo caso è forse il più frequente: si legge aspettando l’autobus, mentre si è in attesa dal dentista, mentre si è in bagno…).

Pur essendo strettamente legato alla lettura come azione, però, tutto ciò ha forse più a che fare con l’ecologia del leggere, cioè il rapporto che un lettore instaura con l’ambiente circostante: proprio di questo ci occuperemo nella prossima puntata della nostra sociologia del libro.

Storia delle pratiche di lettura: Riferimenti

Guglielmo Cavallo e Roger Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, Laterza, Roma-Bari, 1995.
Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni lavoro, 2005 (or. 1980).
Marcel Mauss, Le tecniche del corpo, in Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino, 1965, pp. 385-409 (or. 1950).
Georges Perec, Lire: esquisse socio-physiologique, in Esprit, n. 453, 1976.
Paul Saenger, Silent reading: its impact on late medieval script and society, in Viator, 13, 1982, pp. 367-414.

Immagine | marco monetti

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Antropologa culturale, autrice e insegnante, si occupa di temi legati alla maternità, all'educazione e alla narrazione. Lettrice onnivora e compulsiva, scrive col contagocce perché non ama sprecare le parole. Adora le birre artigianali e, finora, le migliori idee le sono venute andando in bicicletta.
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